La Campagna nel Benadir del Mag. di Giorgio: La battaglia di Mererè e di Araré

Contesto Storico

L’Italia durante gli ultimi due decenni del 19° secolo cominciò lentamente a mettere piede in Somalia[1], espedendo la propria influenza commerciale e militare nell’area. L’area attorno a Mogadiscio si dimostrò difficile da controllare a causa della resistenza attiva che alcune tribù opponevano all’occupante italiano. Vari scontri si suggerirono per tutto il 1907, tra qui quello più noto fu quello di Danane. Allo scopo di pacificare completamente il territorio del Benadir, nel mese di agosto 1908, fu deciso di occupare stabilmente alcune località dell’Uebi Scebeli.

La spedizione del Maggiore di Giorgio

Il 22 agosto 1908 il corpo d’operazione comandato da Di Giorgio, forte di un battaglione eritreo su 4 compagnie, poste al comando dei capitani Tornaghi, Scrivanti, Monaco e Messeri e due compagnie somale, al comando dei capitani Piazza e Vitali. A completare la colonna vi era la compagnia cannonieri composta da 4 pezzi da montagna al comando del tenente Giuseppe Locurcio, 8 mitragliatrici e una piccola carovana di cammelli al comando del tenente Radlinski, per un totale di 1500 uomini. La formazione lasció Danane occupando Mallable il giorno stesso mentre il 25 dello stesso mese occupò Barire. Il 30 agosto 1908 il corpo d’operazione mosse in ricognizione da Barire e giunto a Mererè (centro ribelle della tribù Intera) fu attaccato da un forte nucleo di Bimal-Intera.

La battaglia di Mereré

Avvistati numerosi gruppi di armati, la colonna formò velocemente un quadrato, con l’artiglieria ed il convoglio al centro. Piccoli gruppi somali cercarono di accerchiare le truppe italiane, ma alcuni colpi a mitraglia sparati dai cannoni della Locurcio bloccarono rapidamente la minaccia. Il lato destro era il più esposto, dato che si trovava a pochi passi da una doppia zeriba, dove tiravano i ribelli con i pochi fucili di cui disponevano. Lo stallo fu risolto grazie alla compagnia Messeri, che su comando di De Giorgi, lasciò il quadrato e si diresse verso la zeriba, mandando in fuga un folto gruppo di Bimal. Tornati al quadrato, furono poi distaccate due centurie somale della compagnia Vitali, al comando dei tenenti Gentilucci e Casali, per ripulire l’ultima zeriba posta in prossimità del paese. Da quest’ultimo uscirono parecchi combattenti locali, che armati di arco, scoccarono numerose frecce in direzione degli invasori. Gli italiani risposero con un nutrito fuoco di fucileria, mentre i pezzi d’artiglieria bombardarono il paese. La resistenza si spense rapidamente, lasciando così l’abitato in mano italiana che fu, per ordini del Maggiore, dato alle fiamme. La colonna si mosse quindi per Afgoi, dove furono sufficienti qualche shrapnel per mandare in fuga i ribelli, armati quasi totalmente d’arma bianca ed archi. Occupata Afgoi, Di Giorgio si diresse nuovamente verso Mererè, constatando che le fiamme appiccate il giorno prima erano state domate, diede nuovamente fuoco al villaggio, nonostante le richieste di clemenza provenienti dal capo villaggio. Nonostante i metodi duri e brutali di Di Giorgio, la situazione non era affatto migliorata, anzi scaturirono accese critiche in patria concernenti l’eccessiva violenza adoperata dal Di Giorgio contro i nativi. A seguito della sconfitta a Danane del febbraio del 1907, un’ottantina di ribelli era fuggita verso il nord della Somalia, per unitisi al Mullah. Quest’ultimo, fortemente religioso e anti colonialista, rifornì di armi i ribelli, i quali tornarono nel settembre del 1908 ad imperversare nel Benadir, specialmente nei pressi di Ballad, a circa 40 km da Afgoi. Il 19 settembre alcuni armati tentarono di razziare una carovana di rifornimento, ma gli ascari di scorta riuscirono a respingere gli attaccanti. Era un chiaro sintomo del ritorno dell’instabilità che avevano contraddistinto i mesi precedenti all’attacco di Mererè. I seguaci del Mullah riuscirono ad infiammare nuovamente il fuoco della ribellione, grazie appunto alle loro armi da fuoco, convincendo i nativi del posto della possibilità di battere gli occupanti con le nuove armi. Paradossalmente, i fucili di cui disponevano erano quasi tutti di origine italiana, si trattava per la maggior parte di Vetterli-Vitali Mod. 1870/87. I moderni fucili a retrocarica erano però accompagnati da un pari numero di moschetti ad avancarica, di dubbia qualità e provenienza. In tutto circa 150 fucilieri, più qualche centinaio armati di arco e arma bianca. Essi appartenevano alle tribù Uadan, Dinle, MaTan, Illivi, Daud e Mursala, questi ultimi soggetti al Sultano di Gheledi. Proprio il sultano, insieme ad un centinaio dei suoi, accompagnava la colonna, utilizzato come una sorta di ostaggio. Comunque il governo della colonia provvide subito ad ostacolare la proliferazione della ribellione.

I guerrieri del Sultano di Gheledi fanno una fantasia davanti al maggiore Di Giorgio

La battaglia di Araré

Lasciò quindi Mogadiscio il De Giorgi con una colonna forte del battaglione eritreo, la settima compagnia ascari della Somalia al comando del tenente Streva, della compagnia Cannonieri al comando di Locurcio ed una nutrita carovana di cammelli. Raggiunta Afgoi, il 23 settembre, il maggiore cominciò l’attraversamento del fiume per dirigersi a Ballad, dove erano stati avvistati i ribelli. Data la mancanza di un ponte, l’attraversamento fu davvero difficoltoso, e fu ultimato solamente in 6 lunghe ore. Superato il corso d’acqua, De Giorgi fece disporre su tre colonne i suoi uomini e cominciò l’avanzata. Quest’ultima fu però alquanto disorganizzata, in quanto non si aveva una profonda conoscenza del territorio. Invece di seguire la via carovaniera, più comoda e soprattutto più sicura, essendo posta in un campo aperto, si scelse di proseguire attraverso la fitta boscaglia costeggiando il fiume Scebeli. Verso le nove di mattina del 24, le avanguardie riferirono al comandante la presenza di forti nuclei ribelli in rapido avvicinamento. De Giorgi era conscio della posizione sfavorevole in cui si trovava, la fitta vegetazione era favorevole ai somali, in quanto il vantaggio di tiro italiano si annullava quasi del tutto favorendo quindi le incursioni all’arma bianca dei nativi. Ordinò quindi al capitano Scrivante di spostare la sua compagnia di far fronte al nemico, mentre il resto della formazione si spostò in una radura posta lì vicino per riformare il quadrato che si era rivelato vincente nello scontro di Mererè. Nel mentre si formavano i lati della formazione, quello composto dalla compagnia del capitano Messeri fu improvvisamente attaccato da un grosso numero di somali, che però furono violentemente respinti dal fuoco improvviso di fucileria degli italiani. Nel frattempo la carovana stava raggiungendo la radura e fu rapidamente condotta al centro del quadrato. La batteria di Locurcio, esposta sul fianco fu presto attaccata anch’essa da un nutrito nucleo nemico. Il tenente aprì d’iniziativa il fuoco sui nemici, che intanto erano giunti a circa 30-40 metri dai pezzi. I colpi a mitraglia sparati dai cannoni fecero il loro dovere e mandarono in rotta il nemico, Locurcio riuscì finalmente a disporsi al sicuro all’interno del quadrato. Nel frattempo però la compagnia Scrivante rischiava l’aggiramento. Il capitano quindi riuscì a fronteggiare le orde somale ed a ritirarsi dentro al quadrato. Rimase indietro però un buluk, che sorpreso dai ribelli, credendoli guerrieri del Gheledi, non opposero in prima battuta alcuna forma di resistenza. I ribelli quindi uccisero un buluc basci ed un ascaro, ferendone altri due, ed imponendosi di quattro Carcano Mod. 91 con una settantina di cartucce. Sul lato di coda vi crano le compagnie Scrivante e Monaco e tra i loro buluk vi erano piazzati i cannoni di Locurcio. Questo lato fu presto sotto attacco. Gli italiani fecero avvicinare il più possibile i ribelli, per poi aprire il fuoco. Il fuoco di fucileria, unito alle mitraglie dei cannoni di Locurcio, spazzarono via in pochissimo tempo i ribelli, facendone strage. I superstiti si dileguarono. In tutto le forze di De Giorgi persero 3 ascari e 5 rimasero feriti. Le perdite nemiche furono ingenti, soprattutto a causa dei terribili effetti dei colpi a mitraglia della batteria comandata dal tenente viterbese. La battaglia si risolse in una vittoria tattica per gli italiani, ma in una sconfitta strategica, dato che nessun fucile cadde in mano italiana, anzi quattro moderni Mod. 91 caddero in mano nemica. La formazione si mosse quindi per Afgoi, mantenendo la formazione a quadrato, pronta a respingere qualsiasi attacco nemico. Sulla via di ritorno infatti furono attaccati svariate volte, ma il fuoco della compagnia cannonieri sventò ogni tentativo di offesa.

La compagnia del capitano Vitali che combattè a Dongah, Mallet e Mererè.

Note:

[1]: Grosso, Mario. Cronologia della Somalia italiana. Ufficio storico del comando di stato maggiore. Roma, 1929, pag. 1-13.

Bibliografia:

  • Mantù, Carlo. Storia dell’artiglieria italiana, volume 6. Rivista di Artiglieria e Genio Roma, 1940.
  • Rivista coloniale organo dell’Istituto coloniale italiano. Italia, Unione coop. editrice, 1909.
  • Pini, Cesare Guglielmo. Frammenti de’ miei ricordi d’Africa. Italia, S. Lapi, 1912.

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