Nacque il 19 settembre 1878 a Viterbo da Samuele e Del Buono Rosina. Data la tradizione militare della famiglia, Giuseppe segui le orme dei propri avi. Frequentò il collegio Militare della “Nunziatella” di Napoli, iniziando questo percorso nell’ottobre del 1890. Cinque anni dopo, fu ammesso all’Accademia Militare. Nominato Sottotenente il 6 gennaio del 1898, fu quindi destinato alla Scuola di Applicazione d’Artiglieria. Finito il percorso formativo, fu nominato Tenente, il 3 maggio 1900, e destinato alla 3ª brigata da fortezza. Qui rimase solamente per circa un anno, dato che il 24 ottobre dell’anno successivo fu trasferito al 14º reggimento d’Artiglieria.

La Somalia

La quiete della patria però non piacque particolarmente al giovane tenente, perciò dopo due anni di permanenza nel suo ultimo reparto, lasciò l’Italia il 16 settembre 1903 al volta dell’Eritrea, entrando a far parte del Regio Corpo Truppe Coloniali. Qui fu assegnato al Comando di Artiglieria dell’Eritrea. Preso il comando della compagnia cannonieri, il 31 ottobre 1904, fu destinato al teatro d’operazioni del Benadir, una regione alquanto riottosa della Somalia. Lasciò quindi Massaua il 27 febbraio 1905 giungendo a destinazione l’8 marzo. Da qui in poi, nei successivi 3 anni, alternò dei periodi in colonia a periodi di licenza in patria. Il suo lavoro fu però di cruciale importanza per le sorti della colonia. Dai suoi sforzi fu possibile organizzare l’artiglieria indigena della Somalia, di cui è praticamente il fondatore. Non solo si prodigò a istruire il personale locale, coadiuvato da tre muntaz eritrei, in qualità d’istruttori, ma organizzò anche le basi logistiche, quali per esempio le officine per le riparazioni dei pezzi. Il primo organico della Compagnia Cannonieri della Somalia fu di 1 tenente comandante, 6 bulucbasci, 12 muntaz, 4 trombettieri, 2 attendenti, 66 ascari, 1 quadrupede da sella, e pertanto da questa prima forza complessiva di 90 elementi indigeni nel 1905, nell’aprile 1907 si passa a 124 e nel luglio dello stesso anno a 147. Secondo quest’ultimo organico (Decreto Commissariale N. 165 del 30 luglio 1907), la Compagnia veniva costituita su quattro sezioni e constava di: 1 tenente comandante, 1 graduato e l soldato nazionali, 4 jusbasci, 8 bulucbasci, 16 muntaz, 8 uakil, 5 trombettieri, 115 ascari, 1 quadrupede da sella: la compagnia era armata con 4 cannoni da 75 B. Come sede del reparto fu scelto il Forte Cecchi, costruito nel 1897 a protezione della città di Mogadiscio. Nel Benadir il giovane tenente d’artiglieria conobbe molti ufficiali di carriera, tra cui Cesare Guglielmo Pini, Vincenzo Streva ed Hercolani-Gaddi Antonio e con essi si prodigò alla lotta contro le tribù ribelli. Il primo ricorda così i momenti passati insieme in Somalia: “Lo visitai, un giorno, (il forte Cecchi) con il buon amico Giuseppe Locurcio, allora supremo comandante delle artiglierie e fortezze, e, conseguentemente, anche di quella bicocca ventosa; e domandavo a me stesso, e domandavo all’amico, di me più competente: “Ma queste quattro mura, a che cosa dovrebbero servire?”. Nè io nè il giovine mio amico artigliere abbiamo mai potuto scoprire l’arcano motivo per cui l’ignoto coloniale poliorceta ha fatto mettere uno sull’altro tutti quei sassi, battezzando di poi pomposamente la miserella costruzione “Forte Cecchi” . Povero, veramente forte, pesarese; ben altra opera avrebbe dovuto essere intitolata al tuo nome glorioso!“

Il maggiore Rossi esamina le batterie del Forte Cecchi

La repressione italiana nel Benadir

Tornando al Benadir, le tribù dei Bimal e degli Intera rappresentavano una seria minaccia al dominio italiano e alla sicurezza economica dell’intera colonia. Perciò si decise di affrontarli per affermare definitivamente il dominio italiano nella regione. Si susseguirono, a partire dal 1907, numerosi scontri armati, di cui il più importante fu quello di Danane, che vide protagonisti i due ufficiali precedentemente citati ma non Giuseppe. Dopo un breve periodo di licenza in Italia, a cavallo tra l’ottobre del 1907 ed il febbraio del 1908, egli partecipò alla presa di Kaiotoi e agli scontri di Dongub del 2 marzo 1908, Gilib 3 dello stesso mese e Mellet del 7. Per dare battaglia ai ribelli fu formata una colonna al comando del capitano Vitale, composta di 600 ascari e di una batteria di cannonieri comandata dal tenente d’artiglieria con una batteria composta da 4 pezzi da 75 B. trainata da asini: ogni pezzo era trainato da 4 asini e aveva un munizionamento di 100 colpi. Gli scontri miravano ad affermare il dominio italiano della regione, proteggere le tribù fedeli ai colonizzatori e vendicare la morte dei capitani Molinari e Bongiovanni nella battaglia di Lug. Locurcio, a causa della rapidità dell’avanzata e data l’impossibilità di approntare i pezzi in tempo utile, decise di lasciarsi alle spalle i pezzi e di supportare l’azione con i moschetti in dotazione. Gli artiglieri affrontarono quindi i ribelli come dei normali fanti. Lo scontro fu particolarmente aspro, durante il tiro alcuni dei suoi ascari caddero colpiti a morte o feriti gravemente, uno di questi gli cadde a pochi passi. Nonostante le perdite subite, i ribelli furono messi in fuga. Nei mesi successivi, il nascente Regio Corpo Truppe Coloniali della Somalia venne affidato al maggiore Di Giorgio, uno dei più giovani ufficiali superiori d’Italia e soprattutto uno dei più esperti in campo coloniale, avendo partecipato alla guerra italo-abissina.

Il maggiore Antonino Di Giorgio

Egli riformò il suddetto corpo dotandolo della seguente composizione: il Comando, un reparto di zaptiè, cinque compagnie di fanteria indigena e una compagnia di cannonieri indigeni, quest’ultima posta al comando proprio di Giuseppe. Allo scopo di pacificare completamente il territorio del Benadir nel mese di agosto 1908 fu deciso di occupare stabilmente alcune località dell’Uebi Scebeli. Il 22 agosto 1908 il corpo d’operazione comandato da Di Giorgio, forte del battaglione eritreo su 4 compagnie, poste al comando dei capitani Tornaghi, Scrivanti, Monaco e Messeri e due compagnie somale, al comando dei capitani Piazza e Vitali. A completare la colonna vi era la compagnia cannonieri composta da 4 pezzi da montagna al comando del tenente Locurcio, 8 mitragliatrici e una piccola carovana di cammelli al comando del tenente Radlinski, per un totale di 1500 uomini. La formazione lasció Danane occupando Mallable il giorno stesso mentre il 25 dello stesso mese occupò Barire. Il 30 agosto 1908 il corpo d’operazione mosse in ricognizione da Barire e giunto a Mererè (centro ribelle della tribù Intera) fu attaccato da un forte nucleo di Bimal-Intera. Avvistati numerosi gruppi di armati, la colonna formò velocemente un quadrato, con l’artiglieria ed il convoglio al centro. Piccoli gruppi somali cercarono di accerchiare le truppe italiane, ma alcuni colpi a mitraglia sparati dai cannoni della Locurcio bloccarono rapidamente la minaccia. Il lato destro era il più esposto, dato che si trovava a pochi passi da una doppia zeriba, dove tiravano i ribelli con i pochi fucili di cui disponevano. Lo stallo fu risolto grazie alla compagnia Messeri, che su comando di De Giorgi, lasciò il quadrato e si diresse verso la zeriba, mandando in fuga un folto gruppo di Bimal. Tornati al quadrato, furono poi distaccate due centurie somale della compagnia Vitali, al comando dei tenenti Gentilucci e Casali, per ripulire l’ultima zeriba posta in prossimità del paese. Da quest’ultimo uscirono parecchi combattenti locali, che armati di arco, scoccarono numerose frecce in direzione degli invasori. Gli italiani risposero con un nutrito fuoco di fucileria, mentre i pezzi d’artiglieria bombardarono il paese. La resistenza si spense rapidamente, lasciando così l’abitato in mano italiana che fu, per ordini del Maggiore, dato alle fiamme.

Ascari passati in Rivista a Mogadisco per la visita del “Marco Polo”

La colonna si mosse quindi per Afgoi, dove furono sufficienti qualche shrapnel per mandare in fuga i ribelli, armati quasi totalmente d’arma bianca ed archi. Occupata Afgoi, Di Giorgio si diresse nuovamente verso Mererè, constatando che le fiamme appiccate il giorno prima erano state domate, diede nuovamente fuoco al villaggio, nonostante le richieste di clemenza provenienti dal capo villaggio. Nonostante metodi i metodi duri e brutali di Di Giorgio, la situazione non era affatto migliorata. A seguito della sconfitta a Danane del febbraio del 1907, un’ottantina di ribelli era fuggita verso il nord della Somalia, per unitisi al Mullah. Quest’ultimo, fortemente religioso e anti colonialista, rifornì di armi i ribelli, i quali tornarono nel settembre del 1908 ad imperversare nel Benadir, specialmente nei pressi di Ballad, a circa 40 km da Afgoi. Il 19 settembre alcuni armati tentarono di razziare una carovana di rifornimento, ma gli ascari di scorta riuscirono a respingere gli attaccanti. Era un chiaro sintomo del ritorno dell’instabilità che avevano contraddistinto i mesi precedenti all’attacco di Mererè. I seguaci del Mullah riuscirono ad infiammare nuovamente il fuoco della ribellione, grazie appunto alle loro armi da fuoco, convincendo i nativi del posto della possibilità di battere gli occupanti con le nuove armi. Paradossalmente, i fucili di cui disponevano erano quasi tutti di origine italiana, si trattava per la maggior parte di Vetterli-Vitali Mod. 1870/87. I moderni fucili a retrocarica erano però accompagnati da un pari numero di moschetti ad avancarica, di dubbia qualità e provenienza. In tutto circa 150 fucilieri, più qualche centinaio armati di arco e arma bianca. Essi appartenevano alle tribù Uadan, Dinle, MaTan, Illivi, Daud e Mursala, questi ultimi soggetti al Sultano di Gheledi. Proprio il sultano, insieme ad un centinaio dei suoi, accompagnava la colonna, utilizzato come una sorta di ostaggio. Comunque il governo della colonia provvide subito ad ostacolare la proliferazione della ribellione. Lasciò quindi Mogadiscio il De Giorgi con una colonna forte del battaglione eritreo, la settima compagnia ascari della Somalia al comando del tenente Streva, della compagnia Cannonieri al comando di Locurcio ed una nutrita carovana di cammelli. Raggiunta Afgoi, il 23 settembre, il maggiore cominciò l’attraversamento del fiume per dirigersi a Ballad, dove erano stati avvistati i ribelli. Data la mancanza di un ponte, l’attraversamento fu davvero difficoltoso, e fu ultimato solamente in 6 lunghe ore. Superato il corso d’acqua, De Giorgi fece disporre su tre colonne i suoi uomini e cominciò l’avanzata. Quest’ultima fu però alquanto disorganizzata, in quanto non si aveva una profonda conoscenza del territorio.

Una colonna italiana in sosta nel Benadir

Invece di seguire la via carovaniera, più comoda e soprattutto più sicura, essendo posta in un campo aperto, si scelse di proseguire attraverso la fitta boscaglia costeggiando il fiume Scebeli. Verso le nove di mattina del 24, le avanguardie riferirono al comandante la presenza di forti nuclei ribelli in rapido avvicinamento. De Giorgi era conscio della posizione sfavorevole in cui si trovava, la fitta vegetazione era favorevole ai somali, in quanto il vantaggio di tiro italiano si annullava quasi del tutto favorendo quindi le incursioni all’arma bianca dei nativi. Ordinò quindi al capitano Scrivante di spostare la sua compagnia di far fronte al nemico, mentre il resto della formazione si spostò in una radura posta lì vicino per riformare il quadrato che si era rivelato vincente nello scontro di Mererè. Nel mentre si formavano i lati della formazione, quello composto dalla compagnia del capitano Messeri fu improvvisamente attaccato da un grosso numero di somali, che però furono violentemente respinti dal fuoco improvviso di fucileria degli italiani. Nel frattempo la carovana stava raggiungendo la radura e fu rapidamente condotta al centro del quadrato. La batteria di Locurcio, esposta sul fianco fu presto attaccata anch’essa da un nutrito nucleo nemico. Il tenente aprì d’iniziativa il fuoco sui nemici, che intanto erano giunti a circa 30-40 metri dai pezzi. I colpi a mitraglia sparati dai cannoni fecero il loro dovere e mandarono in rotta il nemico, Locurcio riuscì finalmente a disporsi al sicuro all’interno del quadrato. Nel frattempo però la compagnia Scrivante rischiava l’aggiramento. Il capitano quindi riuscì a fronteggiare le orde somale ed a ritirarsi dentro al quadrato. Rimase indietro però un buluk, che sorpreso dai ribelli, credendoli guerrieri del Gheledi, non opposero in prima battuta alcuna forma di resistenza. I ribelli quindi uccisero un buluc basci ed un ascaro, ferendone altri due, ed imponendosi di quattro Carcano Mod. 91 con una settantina di cartucce. Sul lato di coda vi crano le compagnie Scrivante e Monaco e tra i loro buluk vi erano piazzati i cannoni di Locurcio. Questo lato fu presto sotto attacco. Gli italiani fecero avvicinare il più possibile i ribelli, per poi aprire il fuoco. Il fuoco di fucileria, unito alle mitraglie dei cannoni di Locurcio, spazzarono via in pochissimo tempo i ribelli, facendone strage. I superstiti si dileguarono. In tutto le forze di De Giorgi persero 3 ascari e 5 rimasero feriti. Le perdite nemiche furono ingenti, soprattutto a causa dei terribili effetti dei colpi a mitraglia della batteria comandata dal tenente viterbese. La battaglia si risolse in una vittoria tattica per gli italiani, ma in una sconfitta strategica, dato che nessun fucile cadde in mano italiana, anzi quattro moderni Mod. 91 caddero in mano nemica. La formazione si mosse quindi per Afgoi, mantenendo la formazione a quadrato, pronta a respingere qualsiasi attacco nemico. Sulla via di ritorno infatti furono attaccati svariate volte, ma il fuoco della compagnia cannonieri sventò ogni tentativo di offesa. Per la perizia e lo spirito d’iniziativa dimostrato durante tutta la campagna, con R.D. Del 30 novembre 1910, venne decorato con la medaglia di bronzo al valore con la seguente motivazione: “Arrangiava con propri mezzi una batteria campale, la condusse con ordine e precisione esemplari, per luoghi inesplorati privi di strade e difficili durante le operazioni per l’occupazione della linea dello Scebeli-Uebi Scebeli, Agosto-Settembre 1908. Si distinse anche nei combattimenti di Dongab il 2 marzo 1908”. 

Lo stesso Di Giorgio rimase alquanto impressionato dalla batteria, elogiandola con le seguenti parole: “Nei fatti d’arme di Merere e di Arare la batteria fece dei tiri a metraglia della massima efficacia, e l’effetto specialmente morale della sua azione fu grande. […] ove fossero giunti i muletti richiesti in sostituzione degli asini, e si fosse avuto materiale più moderno, quella batteria sarebbe stata un vero modello del genere. La disciplina e l’istruzione degli uomini, era ciò che di più perfetto si possa immaginare. Questo reparto costituisce per l’Ufficiale, che con incredibile scarsezza di mezzi e con miracoli di pazienza e di energia seppe crearlo dal nulla, un titolo notevole di benemerenza, ed insieme una prova di eccezionale capacità”. 

Locurcio (in piedi al centro) posa al centro in una foto scattata durante la visita del “Marco Polo” nel Benadir

Il ritorno in Patria

Dopo questi mesi infuocati fatti di fatiche e di sangue, Giuseppe lasciò definitivamente la Somalia, lasciando la compagnia al tenente Camillo Gatteschi. Il 15 novembre 1908, prese imbarco a Mogadiscio e giunse a Napoli il 31 dicembre dello stesso anno. Si chiuse quindi un capitolo della sua avventurosa vita, ma di certo, in cuor suo, sapeva che un giorno sarebbe tornato nel continente africano. Pochi giorni dopo il suo rimpatrio, il tenente fu assegnato al 5o reggimento d’Artiglieria da campagna, tornando quindi totalmente a disposizione del Ministero della Guerra. Il 31 dicembre dell’anno successivo fu promosso al grado di capitano. Passarono quindi 3 lunghi anni in patria prima che Giuseppe potesse tornare sul campo di battaglia.

La guerra Italo-Turca e la spedizione Miani

Scoppiata la guerra italo-turca, Locurcio prese parte al conflitto, partendo da Napoli il 6 febbraio 1912. Giunse a Tripoli il 10 dello stesso mese, prendendo il comando della neo costituita 1a Batteria Indigena della Tripolitania. L’Unità si trovava quindi al comando di un ufficiale di tutto rispetto, con una solida esperienza in colonia, soprattutto se si considera il fatto che vi era una mancanza sistematica di ufficiali di carriera. La batteria prese quindi sede a Bu-Meliana, ed era composta da tre sezioni, di cui 2 libiche ed una eritrea. Il battesimo del fuoco arrivò ben presto per gli uomini di Locurcio, infatti parteciparono attivamente alla prima occupazione di Zanzur nel giugno 1912. Durante la battaglia si distinse notevolmente il V battaglione Ascari Eritrei, unità che poi farà parte della Spedizione Miani.

Domenico De Dominicis

Qui conobbe il Capitano De Dominicis, il Capitano Bardi ed il capitano Severini, con cui avrà un buon rapporto negli anni a venire. Dopo aver occupato il 31 dicembre 1912 Sirte, qui rimase insieme ai suoi ascari per circa 6 mesi. Qui ebbe il piacere di rincontrare il capitano Hercolani-Gaddi, vero artefice dell’occupazione della cittadina libica.

Hercolani-Gaddi Antonio

Nel frattempo si preparava l’occupazione del Fezzan, ed il colonnello Antonio Giuseppe Miani, comandante della spedizione, richiese esplicitamente un corpo ufficiale con un’esperienza pregressa in ambito coloniale, tale erano le difficoltà che il piccolo corpo di spedizione doveva affrontare per penetrare nel cuore della Quarta Sponda. Fu scelto quindi Locurcio con la sua batteria. Nel giugno quindi fu ordinato all’unità di raggiungere Tripoli e di cedere tutti i propri muli alla 2ª batteria. La batteria viene quindi cammellata, il personale eritreo della sezione rimpatriò e fu sostituito da personale libico, solamente i capo pezzi rimasero eritrei. Il corpo ufficiali era quindi composto da: Tenente Saverio Costa, comandante della colonna munizioni, il tenente Ferrante Vincenzo Gonzaga, al comando della prima sezione, il tenente Igino Marchionni, comandante della seconda sezione e infine il tenente Della Bona, comandante della terza sezione. Locurcio ed i suoi sottoposti passarono i mesi di giugno e di Luglio a formare il personale libico all’utilizzo dei pezzi someggiati, al rapido dispiegamento degli stessi e sul tiro. La sezione Marchionni lasciò prematuramente la cittadina libica per dirigersi a Sirte, ove erano concentrate le truppe del capitano Hercolani. Quest’ultimo marcerà su Socna senza colpo ferire. Nell’Agosto il restante della batteria si unì alla colonna Miani, marcerà prima su Socna, ove rimarrà per circa 100 giorni, per poi marciare attraverso il Gebel el Soda dritto nel Fezzan. Qui ci furono tre fatti d’armi alquanto importanti.

La battaglia di Esc-Scebb

Il primo si svolse il 10 dicembre nei pressi dei di pozzi di Esc-Scebb, Verso le 14, l’avanguardia della colonna, formata da alcuni elementi della 1ᵃ compagnia eritrea posta al comando del capitano Severini, scorse da lontano un grosso quantitativo di cammelli, circa 60, scortati da uomini armati. La colonna nemica si stava muovendo per effettuare una manovra aggirante mirata a colpire le spalle ed il fianco della formazione italiana. Miani decise di utilizzare due compagnie eritree ed altrettante libiche per effettuare un movimento a tenaglia capace di arrestare l’avanzata della carovana nemiche e di impedirgli allo stesso tempo ogni via di fuga verso i pozzi. Lo scontro cominciò alle 14:30. I ribelli, presi alla sprovvista, arrestarono la propria marcia e cercarono riparo per rispondere al fuoco. Col passare dei minuti il fuoco di fucileria diventò sempre più fitto. Nell’istante in cui furono esplosi i primi colpi di fucileria, la batteria iniziò a dispiegare i propri pezzi. Miani aveva infatti ordinato al Capitano di coadiuvare l’azione della fanteria con il fuoco delle sue sezioni.

Pezzi in azione a Esc-Scebb

In soli 10 minuti i serventi approntarono i pezzi che cominciarono a loro volta a sommergere di Shrapnel i fucilieri arabi. La rapida avanzata della compagnia del De Dominicis fece sì che non si potè più colpire l’avversario, onde evitare alcun tipo di fuoco amico, perciò la batteria si spostò quindi per ordine del capitano nel ciglione in cui fu sorpresa la carovana nemica, nel tentativo di supportare l’inseguimento dei numerosi fuggiaschi. Vista la rapidità dello svolgersi della battaglia, la batteria, composta da 6 pezzi, sparò in totale 72 colpi. Una volta sbaragliato il nemico, la batteria e la maggior parte della colonna si accampa sul luogo dello scontro mentre il battaglione eritreo pernotterà presso i pozzi. L’indomani gli italiano ripresero a marciare verso Brak. La giornata procede senza particolari intoppi, anche se viene sorpresa una piccola colonna di 40 uomini armati diretta ai Scebb, che viene rapidamente neutralizzata. A mezzogiorno del 12 dicembre la spedizione raggiunse le acque dell’oasi di Eschida, abitata solamente da poche donne ed anziani. Questi avvisarono gli italiani che gli uomini della tribù Mugarha raccolsero tutti gli uomini abili alla guerra per mandato di Mohammed ben Abdallah, capo della rivolta. Da poche ore avevano lasciato l’oasi diretto a Brak ove circa 1000 fucili erano pronti a difendere il Fezzan dall’’invasore italiano. Miani decise quindi di accamparsi nella notte ai pozzi per poi marciare il giorno dopo su Brak, deciso ad affrontare la minaccia nemica.

La battaglia di Eschida

La notte passa tranquilla, ma il mattino dopo ci si accorse che l’altura posta a sud ovest era gremita di arabi armati. Il tenente colonnello voleva evitare lo scontro su un terreno a lui sfavorevole, perciò lasciò i pozzi per dirigersi verso sud, per poi convergere su Brak. Sperava in questo modo di poter dar battaglia, se attaccato, in un terreno a lui più favorevole. Tutta la colonna, anche i cammellieri, era pronta a rispondere in caso di attacco nemico, che non tardò ad arrivare. Dopo un ora di marcia, verso le 8:30, Locurcio passò il comando della batteria al suo subalterno e si mosse rapidamente verso il fianco destro della colonna raggiungendo una pattuglia esplorante. Aveva appena ricevuto ordini precisi: bersagliare il nemico con i suoi cannoni, evitando in ogni caso lo scontro. Si trattava di sparare qualche colpo di avvertimento, mirato a far desistere l’accanito nucleo ribelle dall’attaccare l’invasore. Si era quindi spostato in posizione avanzata per poter individuare la posizione ottimale in cui piazzare i propri pezzi. Non fece in tempo a sporgere la testa per osservare il terreno circostante che subito dovette tornare in coperture per il fitto fuoco di fucileria. Gli arabi, credendo in fuga la colonna, discesero dalle alture pronti a divorare la preda in fuga, certi della vittoria. Il piombo nemico fece desistere il capitano dallo spostare in posizione avanzata le proprie sezioni, data la vicinanza degli arabi.

Sfila la batteria cammellata

Fece comunque movimentare la batteria, facendola fermare a circa 800 m dalla cresta nella quale avrebbe voluto piazzare i suoi cannoni, impossibilitato a farlo a causa del fuoco nemico. La batteria dovette avanzare in campo aperto subendo il tiro abile degli arabi, ma per fortuna nessuno fu colpito. Raggiunse quindi di corsa i suoi, che nel frattempo avevano messo in opera i pezzi, e con alzo 1600 aprì il fuoco. I primi colpi a Shrapnel così caddero nell’amba posta a sud est, gremita di ribelli, facendo strage. Il tentativo nemico di discendere l’altura per avventarsi sulle truppe italiane fu respinto, il tiro della batteria li ricacciò indietro, causando confusione e panico tra le fila degli attaccanti. Il capitano di Viterbo ne approfittò subito, dando l’ordine di movimentare i pezzi, spostandoli a circa 200 m dalla cresta. Raggiunta la nuova posizione, Locurcio osservò un grosso numero di cavalieri nemici avanzare sul suo fianco sinistro. Decise quindi di rivolgere i suoi pezzi verso il nuovo fronte, onde supportare la fanteria alleata, mantenendo però la sezione del Tenente Marchionni rivolta verso l’amba da cui precedentemente calarono gli arabi. Al giovane Tenente, che dimostrerà il suo valore durante la campagna, fu ordinato di bersagliare ad intervalli regolari la cresta onde evitare il concentrarsi di truppe nemiche in quella cruciale posizione. Ciò permetteva inoltre alle sezioni dei Tenenti Gonzaga e Miele di riorganizzarsi rapidamente per dirigere tutto il fuoco della batteria sull’altura, in caso di attacco in forze. Organizzata quindi la batteria per rispondere a qualsiasi offesa, Giuseppe si concentrò sullo scontro. Nel momento in cui la sua batteria sparava i primi colpi egli udì gli spari della batteria del Capitano Mondini, mentre gli ascari eritrei avanzavano a grandi balzi verso la cresta, decisi ad occuparla. Appena si rese conto dell’attacco italiano, il capitano diresse il tiro di tutti i pezzi verso l’altura.

Una lunga serie di colpi cadde sugli avversari. Questi ultimi, scossi dal fuoco d’Artiglieria, furono mandati in fuga dalla compagnia del capitano Severini, supportata dal fuoco della batteria Marchionni. Il resto della batteria raggiunse poco dopo la predetta cresta scortata dalla compagnia libica del capitano Rossi. In totale furono sparati 325 colpi, e non si registrò nessuna perdita. La sconfitta del luogotenente di Mohammed ben Abdallah aprì le porte della cittadina di Brak agli uomini della spedizione. La batteria entra quindi per le strade della polverosa cittadina, raggiungendo il piazzale antistante il castello, che domina l’oasi. Con grande emozione e marzialità i cannoni della batteria spararono alcuni colpi a salve, per celebrare solennemente l’alza bandiera. Era il 13 dicembre 1913 e la bandiera d’Italia sventolava libera in una delle più importanti oasi della regione. Quest’ultima era però lontana dall’essere pacificata. Nonostante le due pesanti sconfitte, le tribù ribelli si riorganizzarono, pronti a vendicare i propri morti ed a difendere la loro terra. Ritiratosi a Gurda, a circa 30 km da Brak, esse si sposteranno definitivamente a Maharuga, a soli 25 km. Miani, deciso a sconfiggerli una volta per tutte, lasciò di guarnigione una compagnia libica, e con il restante della colonna marciò su l’oasi. In formazione doppia, verso mezzogiorno del 23 dicembre, la colonna si mosse verso i nemici, che nel frattempo stavano preparando alla meglio la loro posizione per respingere l’assalto italiano. Ci si accampa nell’oasi di Agar per la notte. La tensione è palpabile tra i ranghi, l’indomani avrà luogo lo scontro decisivo.

La battaglia di Maharuga

La mattina dopo, Locurcio ricevette l’ordine di spostarsi dalla colonna di sinistra a quella di destra, scambiandosi con la batteria del capitano Mondini. Secondo il tenente colonnello, questo improvviso cambio di fronte era giustificato dal fatto che si prevedeva che il nemico attaccasse principalmente su quel lato. La batteria Locurcio disponeva di una sezione in più, perciò si riteneva necessario disporla nel fronte più esposto. Alle 9:15, mentre la colonna effettuava un movimento aggirante del fortilizio nemico, il capitano fu informato da un suo muntaz libico dell’avvicinarsi di un forte nucleo nemico. Osservando il bersaglio, Giuseppe si accorse che erano perfettamente a tiro dei propri pezzi, una facile preda per i suoi cannoni da montagna. Fremendo dalla voglia di bersagliarli, chiese l’autorizzazione al Miani che gliela rifiutò, dato che egli riteneva necessario terminare il movimento prima di poter ingaggiare l’avversario. Ma nel frattempo gli arabi rapidamente si portarono a tiro e cominciarono a sparare sulla colonna. L’attacco nemico fu indirizzato verso la testa ed il fianco destro della colonna. Le truppe italiane si schierarono celermente per rispondere alla minaccia. Verso sud una compagnia eritrea, supportata dalla Bat. Mondini, si disponeva a coprire il fronte, mentre sulla destra, verso ovest, il gruppo libico supportato dalla batteria del capitano. Piazzati i pezzi, le sezioni, su ordine del comando della colonna, aprirono il fuoco. Gli shrapnel cominciarono a cadere sugli attaccanti, causando parecchie vittime. Dato che il nemico attacco in molteplici direzioni, la batteria dovette cambiare più volte fronte per alleggerire la pressione sulle compagnie libiche. Nel frattempo le truppe poste in testa alla colonna cominciarono ad avanzare verso sud ed il tenente colonnello ordinò al capitano di supportare la loro avanzata. Lasciata la sezione Marchioni di supporto alle truppe libiche, Locurcio avanzò quindi verso le truppe del maggiore Suarez con le sezioni Gonzaga e Miele. Marchionni doveva a sua volta raggiungere il suo capitano solamente a ripiegamento terminato delle mezze compagnie libiche dei tenenti Pino e Piatti. Il giovane tenente ancora non sa che la sua sezione rischierà grosso da lì a poco. La colonna, eseguito lo spostamento, si ritrovò in campo aperto, senza alcun minimo riparo. Bersagliati da più lati, gli uomini della batteria risposero al fuoco avversario cercando così di supportare gli sforzi del 5º battaglione. Con i cannoni carichi, Locurcio in varie riprese avanzò per circa un km, scaricando gli stessi ad intervalli regolari, raggiungendo così una posizione posta ad 800 m dagli dagli avversari. Miani, mandò quindi all’attacco il battaglione eritreo. I colpi a Sharpnel piombarono puntuali sul fronte nemico, causando caos tra i loro ranghi. I cannoni smisero di sparare solamente quando i due schieramenti si fronteggiarono in uno scontro ravvicinato.

Gli eritrei misero in fuga, dopo un violento scontro, il nemico, procedendo così all’inseguimento, che verrà però presto interrotto, dato che bisogna spostare rapidamente le truppe sul fronte destro, minacciato da preponderanti forze nemiche. Le sezioni dei tenenti Gonzaga e Miele furono così dirette nuovamente sul fronte destro. La sezione Marchionni intanto era rimasta in posizione avanzata con la mezza compagnia del tenente Piatti, entrambi a corto di munizioni e minacciati di accerchiamento. Saranno salvati solamente dagli uomini del cap. De Dominicis, che però cadde gravemente ferito durante l’azione. Miani ordina l’attacco generale, tutte le truppe italiane, supportate dal fuoco dell’intera batteria, si diressero ad assaltare il nemico, con la baionetta innestata. La mischia fu rapida ma sanguinosa, vide vittoriosi gli italiani che riuscirono a strappare la bandiera verde del profeta. Dopodiché, il nemico andò in rotta, fuggendo verso il deserto. In tutto furono sparati 615 colpi, e rimase ferito solamente un artiere della sezione Marchionni. Gli avversari lasciarono più di 300 uomini sul campo di battaglia, la maggior parte di essi caduti proprio a causa dei proiettili sparati dai cannoni italiani.

Gli ufficiali della spedizione

La vittoria aprì così la strada verso l’occupazione di tutti i maggiori centri abitati della regione. Nei mesi successivi abbandonò il Fezzan, tornando a Tripoli e da lì poi rimpatriò.

La Grande Guerra

L’8 aprile del 1915 fu assegnato al 13º reg. di artiglieria da campagna. Giunse in territorio dichiarato in stato di guerra il 2 giugno. L’unità fu dispiegata in Veneto, tra l’alta Val Cordevole e la Val Papena. Partecipò alla presa del Piccolo Lagazuoi, ed alla conquista del costone alle pendici del Col di Lana e del Massiccio del M. Piana. Il 10 febbraio dell’anno successivo fu trasferito all’artiglieria da fortezza corta. Tre giorni dopo fu promosso al grado di maggiore. Il 30 aprile fu però nuovamente trasferito, questa volta all’8° Artiglieria da Fortezza. Le batterie parteciparono alla 6ª battaglia dell’Isonzo, bersagliando il Sabotino ed il Podgora. Il 16 agosto, un giorno prima del termine della battaglia. fu promosso al grado di tenente colonnello. A seguito della battaglia di Caporetto, le truppe italiane furono investite da un possente fuoco di artiglieria nemico e da innumerevoli attacchi austro-tedeschi. Passato al comando del I Gruppo Tattico, Lo Curcio in quei giorni si trovò in posizione difensiva posta sul Monte Miela, nella strategica regione dell’altopiano di Asiago. Le posizioni italiane furono investite dalla furia nemica tra il 15 ed il 23 novembre, ma gli attaccanti furono respinti al costo di grandissime perdite. Dopo una settimana di continui bombardamenti, il 3 dicembre gli austro-tedeschi ritornarono all’attacco con gas asfissianti ed una forte massa di uomini. Gli attacchi inizialmente furono respinti a fatica, ma poi il fronte cedette. I cannoni di Giuseppe fecero strage degli attaccanti, arrivando al punto di sparare ad alzo 0 a causa del progressivo avvicinarsi della massa austriaca. Il giorno successivo la posizione diventò presto indifendibile, perciò dopo aver fatto saltare o reso inservibile il maggior numero di pezzi, Locurcio insieme ad un centinaio di fanti ed artiglieri si ritirò in ordine sul Monte Spil. La notte passò lentamente, si temette un nuovo attacco alla fragili posizioni italiane. Nelle prime ore del 5 le truppe della 29ª divisione ricevettero l’ordine di contrattaccare per riprendere le posizioni perdute. L’esito è prevedibile, le truppe italiane, logore e stanche, furono respinte con pesanti perdite. Locurcio, dove aver riorganizzato i suoi ed avergli consegnato le ultime bombe a mano rimaste, partì all’assalto. In molti caddero, tra morti e feriti. Il tenente colonnello rimase ferito e fu preso prigioniero. Il periodo di prigionia fu abbastanza duro e terminò solamente una settimana dopo la fine delle ostilità.

Il periodo tra le due guerre

Tornato in servizio, fu trasferito al 35º artiglieria da campagna il 2 febbraio 1919. Rimase nel reparto solo per pochi mesi, infatti il 6 maggio dello stesso anno fu comandato alla divisione d’artiglieria di Roma per poi finire ad agosto al corpo d’armata Bari. Su sua domanda fu posto in posizione ausiliaria speciale a partire dal 30 aprile 1921. promosso al grado di colonnello e collocato in aspettativa a causa della riduzione dei quadri nel 1926. Dopo qualche anno lontano dall’esercito, nel 1934 Giuseppe ritornò ufficialmente in servizio al comando del corpo d’armata di Roma e promosso al grado di generale di brigata.

Prestò successivamente servizio col grado di console generale alla DICAT, quale comandante del gruppo legioni DICAT centrale dispiegate in Italia, in concomitanza del periodo di ostilità con l’Impero Etiope, dal 9 settembre 1935 al 25 agosto 1936. Il 1 luglio dell’anno successivo fu promosso al grado di generale di divisione. Fu collocato a riposo per età il 19 settembre 1938, per poi essere richiamato per brevissimi periodi negli anni successivi. Fu posto in congedo assoluto l’1 maggio 1954. Morì a Roma 16 maggio 1960 alla veneranda età di 82 anni. 

Bibliografia

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  • Fornari, Guido. Gli Italiani nel Sud Libico. Le Colonne Miani 1913-1915, 1940
  • Guadagnin, Alfeo. La battaglia d’arresto: Altipiano di Asiago, novembre-dicembre 1917, volume 2. Italia, Nordpress, 2008.
  • Mantù, Carlo. Storia dell’artiglieria italiana, volume 6. Rivista di Artiglieria e Genio Roma, 1940.
  • Pini, Cesare Guglielmo. Frammenti de’ miei ricordi d’Africa. Italia, S. Lapi, 1912.
  • [1] pag. 403, volume 6.
  • Fornari, Guido. Gli Italiani nel Sud Libico. Le Colonne Miani 1913-1915, 1940
  • Rellini, Guido , Con la spedizione Miani per l’occupazione del Fezzàn, in BSGI, 1927
  • Bollettini ufficiali delle nomine, promozioni e destinazioni negli ufficiali e sottufficiali del R. esercito italiano e nel personale dell’amministrazione militare
  • Zaccaria, Massimo. Anch’io per la tua bandiera: il V Battaglione Ascari in missione sul fronte libico (1912). Italia, G. Pozzi, 2012.

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