Miani e la conquista del Fezzan

Quest’oggi parleremo di un piccolo e sconosciuto capitolo della nostra storia. Stiamo parlando della disastrosa spedizione Miani. Per parlare di Antonio Giuseppe Miani, il protagonista della nostra storia, dobbiamo in primis parlare del contesto storico in cui ci troviamo. 

Ci troviamo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Questo periodo storico vide il culmine delle ambizioni coloniali europee, che arrivarono a spartirsi grosse fette del continente africano e del sud est asiatico. L’Italia, entrata in ritardo in questa corsa alle colonie, pose prima i suoi occhi sul corno d’africa, arrivando prima in Eritrea e qualche anno dopo in Somalia. 

Conquistate le regioni costiere, con la presa di Cheren e di Asmara nel 1889, l’Italia tentò di conquistare l’entroterra. Le nostre truppe si scontrarono negli anni successivi contro uno dei pochi stati sovrani del continente, stiamo parlando dell’impero d’Etiopia. Conosciamo tutti come andò a finire, l’esercito etiope, più numeroso e soprattutto equipaggiato con armi europee, sconfisse le truppe italiane ad Adua, ponendo fine, temporaneamente, alle ambizioni coloniali italiane. 

Durante queste campagne di conquista in terra d’africa, entra in scena il nostro protagonista, Antonio Giuseppe Miani

Questo giovane ufficiale, classe 1864, dopo cinque anni passati all’Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena, fu assegnato al 9º Reggimento bersaglieri. Nel 1886, dopo essere stato promosso tenente, fu trasferito al Regio corpo truppe coloniali di stanza in Eritrea, dove si distinse particolarmente durante gli scontri contro le popolazioni locali.

Miani non combatté ad Adua, ma eccelse nei successivi combattimenti di Aga-à e Debra-Matzò (2 e 7 maggio 1896) che valsero la liberazione di Adigrat. I risultati raggiunti durante la campagna coloniale gli valsero tre medaglie d’argento al valor militare e la promozione a capitano. Dopo i fatti di Adua, seguirono anni di incertezza politica, terminati con la salita al potere di Giolitti. Miani, richiamato in patria d’autorità, passo i primi anni del novecento tra Torino e Livorno. Dopo due anni di aspettativa, presi a causa della morte del padre,fu richiamato in servizio attivo il 22 maggio 1908. Promosso pochi mesi dopo al grado di Maggiore, fu assegnato al Comando della Divisione militare di Milano. 

Per l’Italia e le altre potenze europee, dopo l’apertura del canale di Suez avvenuta nel 17 novembre 1869, il mar Mediterraneo aveva gradualmente ripreso importanza dal punto di vista economico e strategico. L’Italia, con la sua posizione centrale, mirava ad accrescere la sua importanza ed influenza nella regione. I piani italiani, inizialmente, furono un fallimento. La volontà di formare un protettorato italiano in Tunisia, fallì miseramente quando nel 1881 la Francia occupò militarmente il territorio tunisino. L’anno successivo fu la volta dell’Egitto, occupato militarmente dall’Impero Britannico. L’unico territorio strategicamente utile in Nord Africa, rimase la provincia della Tripolitania, territorio sotto il dominio Ottomano. Giolitti preparò con un discreto successo la spedizione dal punto di vista diplomatico, ma disastroso dal punto di vista militare. Nonostante i piani per un eventuale occupazione della Tripolitania erano pronti fin dall’occupazione del 1885, di Beilul e Massaua. Con l’aggravarsi delle tensioni diplomatiche tra i vari stati europei a cause  delle crise marocchine, nel 1911 Giolitti decise di dare una svolta al caso Libico. Dopo la scadenza dell’ultimatum italiano, iniziarono subito le ostilità contro la Sublime Porta. Gli scontri navali dimostrarono al mondo la vulnerabilità del malato d’Europa. Per quanto riguarda gli scontri di terra, i nostri reparti occuparono in primis Tripoli, dopo feroci e violenti combattimenti, e poi man mano la maggior parte delle città costiere. Le controffensive turche fecero vacillare le nostre posizioni, anche a causa della disastrosa e repentina preparazione dell’invasione. Ciò nonostante, nei mesi successivi allo sbarco le nostre truppe ressero ogni tentativo di controffensiva turca. Nonostante tutto, le principali città costiere erano sotto il controllo italiano, ma l’entroterra era saldamente sotto il controllo delle forze ottomane e delle milizie loro alleate.

Dopo numerosi colpi di mano da parte della Regia Marina, come l’occupazione del Dodecaneso, e la forzatura dello stretto dei Dardanelli, la sublime porta fu costretta alla pace, ratificata nel 1912 con il Trattato di Losanna, che stabiliva un protettorato italiano nella regione. Nonostante la maggior parte delle forze Turche si arresero una volta stipulata la pace, continuarono gli scontri tra i ribelli e le truppe italiane, che cercavano progressivamente di penetrare nel territorio.

Dopo la penetrazione italiana in Tripolitania e in Cirenaica, si decise di occupare militarmente il Fezzan, regione prevalemente desertica, posizionata a sud rispetto alla tripolitania. La zona era scarsamente popolata. Un censimento, redatto dalle autorità ottomane nel 1911, stimava che la popolazione della regione ammontava a circa 50000 persone, disperse per la regione. Gli insediamenti di maggiore importanza si trovavano in prossimità delle oasi, come Murzuk, capoluogo delle regione. Altri insediamenti degni nota erano Brak, Sebha e Ghat. Resta il fatto che tali villaggi superavano raramente i mille abitanti. Le strade che percorreranno i nostri soldati sono principalmente piste carovaniere, utilizzate per secoli dai mercanti. L’economia della regione si basava per la maggior parte sul commercio, soprattutto di schiavi., All’epoca dell’occupazione italiana il commercio di essere umani era già stato fortemente contrastato dalle autorità ottomane, oltre a ciò, imposero gravi tributi alla popolazione locale, causando un impoverimento generale della regione. 

Tornando a noi, Miani, promosso intanto a tenente colonnello, fu scelto per condurre una spedizione militare nell’entroterra libico nel luglio 1913. L’ufficiale comandava: due battaglioni di ascari eritrei, due sezioni di artiglieria da montagna cammellate, un plotone servizi e sette stazioni telegrafiche. Le truppe furono rapidamente organizzate ed inquadrate a Tripoli, per poi raggiungere Sirte via mare. La colonna era costituita da 1.100 uomini (109 nazionali, e il resto coloniali), 500 famigliari degli ascari, 10 cannoni da montagna da 70/15 Mod. 1902, 4 mitragliatrici Vickers, 4 autocarri e 1.765 cammelli carichi di acqua, munizioni e altri rifornimenti. Inoltre si procedette ad arruolare volontari indigeni nel Fezzan. Tra gli uomini della spedizione facevano parte il il capitano Antonino Antonini, il tenente Ferrante Vincenzo Gonzaga , ed il tenente medico Guido Rellini. Ricordiamoci i loro nomi per i fatti che stanno per coinvolgere la colonna. 

La penetrazione italiana era cominciata precedentemente all’avvio della colonna di Miani, infatti il capitano Hercolani Gaddi alla testa delle sue truppe aveva conquistato Socna il 23 luglio. Il 26 agosto Gaddi fu raggiunto da Miani. La marcia verso l’oasi non fu di certo piacevole. Il tenente Gonzaga, in una lettera indirizzata al padre scrisse: “[…]Figurati che da Sirte a Socna abbiamo incontrato un’unica palma, tutto il resto è deserto, pietra, pietra, null’altro che pietra. Ed anche Socna è una misera cosa: qualche gruppo di palme, qualche giardino, ma niente di quell’Africa ubertosa che si poteva pensare, quelle foreste vergini, niente di quelle oasi ricche di cui parlano i libri.”  

Nei mesi successivi, la colonna stabilì una solida base nell’oasi libica ed iniziò i preparativi per un ulteriore avanzata. La colonna riprese a marciare solamente a dicembre, marciando verso sud, sempre all’erta, in direzione di Brach, capoluogo dello Sciati orientale. Durante la lunga avanzata, i volontari libici impressionarono notevolmente gli ufficiali italiani. Lo stesso Gonzaga, in un’altra lettera indirizzata al padre affermò: “Ho potuto constatare l’eccezionale resistenza delle truppe libiche nelle marce, resistenza superiore a quella degli stessi eritrei. Sono dei veri cammelli, quando si giunge alla tappa , noi che abbiamo fatto tutto il tragitto sui cammelli ci sentiamo stanchi, loro no; rizzano le nostre tende, ci preparano la tavola, tutto quello che ci occorre, poi accendono i loro fuochi e si preparano il thè chiacchierando. E durante la marcia mai nessun segno di stanchezza. […] Sono delle truppe magnifiche che potranno rendere assai se sapremo istruirle e condurle.” 

Attraversato il Gebel-es Sòda e il pericoloso passo Cneir, la colonna si imbatte presto contro numerose forze ribelli. il 10 dicembre, le truppe italiane sconfissero un gruppo di circa 600 combattenti nemici ad Esc-Scèb. Due giorni dopo, poco più a sud, nei pressi dei pozzi di Eschida, Miani sconfisse, dopo poche ore di aspri combattimenti, le truppe di Mohammed ben Abdallah, occupando alle 15:30 di quel giorno il castello della città di Brach. Mohammed ed i suoi senussi, incassata la sconfitta, presto si riorganizzarono presso Maharuga, desiderosi di vendicare l’umiliazione subita. Miani non si perse d’animo, dopo aver organizzato una guarnigione capace di difendere Brach da eventuali attacchi, lasciò il 23 dicembre l’insediamento, cercando lo scontro frontale con i libici. Il giorno dopo, gli italiani ingaggiarono, in una sanguinosa battaglia, le truppe senussite. La battaglia terminò in una decisiva vittoria italiana, Mohammed ben Abdallah cadde durante i combattimenti. insieme ad altri 250. Le truppe italiane ebbero 15 ascari morti, tra cui il loro comandante Antonio De Dominicis. tra cui il loro comandante Antonio De Dominicis. Sgombra la via da forze ribelli, le truppe italiane occuparono  Maharuga, entrando nella cittadina verso le 17:00 del 1 gennaio 1914. Il mese successivo, 500 uomini della colonna, partiti da Brach, occuparono pacificamente Sebha e stabilirono in un fortilizio sulla collina di El-Gara un commissariato governativo del Fezzan. Le truppe italiane successivamente si mossero verso Murzuch, occupandola pacificamente il 3 marzo. I “ribelli” (combattevano attivamente per la libertà della loro terra, verranno definiti ribelli solamente a causa dell’unilaterale dichiarazione di sovranità italiana sulla Libia del 1911, infatti verrà sempre chiesto alle tribù di fare atto di sottomissione, chiunque si rifiutasse verrà considerato dalle autorità italiane come ribelle), astutamente, finsero di sottomettersi ai conquistatori, ma era chiaro che il loro animo guerriero non si era spento ancora. Per i meriti di guerra, Miani fu promosso a colonnello e venne insignito, il 5 giugno 1915, della Croce di Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia. 

Le foto che stiamo al momento vedendo, sono state scattate dal tenente medico Guido Rellini.

Raggiunti gli obiettivi stabiliti, il colonnello si mise all’opera per migliorare le disastrose vie di comunicazione, impervie e sotto il comando ribelle. Resta il fatto che l’ostilità delle tribù locali fece desistere Miani dalla realizzazione di questo piano. I senussi intanto, approfittando dell’incertezza dei nostri, si riorganizzarono saldamente a Merduma. Gli attacchi a piccoli nuclei di italiani si fecero sempre più frequenti, anche a causa dell’incremento dei finanziamenti ottomani dovuti allo scoppio del primo conflitto mondiale. La necessità di rinforzi indusse Miani ad arruolare forzatamente nativi del posto, anche se commise l’errore di farli reclutare a funzionari locali, simpatizzanti per i senussi. La ribellione scoppiò nel mese di novembre, quando le milizie locali formate da Miani si ribellarono apertamente, unendosi ai ribelli. Gli italiani, costretti a rifugiarsi nei presidi, per ordine del colonnello Miani, progettavano il da farsì. Miani decise di organizzare una spedizione punitiva, organizzando tutte le truppe a Brach. Fu una decisione a dir poco errata, le milizie catturarono nella notte il forte di Gara, presso Sebha. Nulla contarono i numerosi contrattacchi delle poche unità eritree presenti in loco. Udito ciò Miani ordinò la ritirata generale delle truppe italiana dal Fezzan. La ritirata delle forze presenti a Brach fu assicurata da rinforzi provenienti da nord. Per quanto riguarda i presidi presenti sul territorio, numerosi furono distrutti dai ribelli, come quelli di Ubari  ed Ederi. Il presidio di Ghat, riuscì, dopo varie peripezie, a rifugiarsi in Tunisia. Mentre per il presidio presente a Murzuch, capoluogo della regione, fu necessario mandare una colonna di autocarri per l’evacuazione.

La ritirata della colonna non fu facile, infatti nonostante i rinforzi, furono sorpresi il 25 dicembre, da un attacco ribelle nei pressi di Bu-Ngeim. L’attacco causò la morte di numerosi ascari e soldati italiani. La colonna contava ormai solamente 40 ufficiali, 100 soldati nazionali, 780 eritrei e 200 libici. Arrivato a Tripoli fu esonerato dal comando, e rimandato in Patria. Qui fu tenuto in posizione di riserva per un possibile reimpiego. La ribellione si estese anche nel Gebèl e nella sirtica, alla fine del 1914 quindi le truppe presenti a Gadames, Nalut e Sinaum furono fatte ripiegare verso la costa. 

«Al di là degli effimeri risultati politici di questo precoce tentativo di occupazione del Fezzàn Corrado Zoli, che segui per quattro mesi l’andamento delle operazioni militari come inviato del “II Secolo” riportò da questa esperienza una serie di informazioni intorno alla vita ed ai costumi delle popolazioni Tuareg, al paesaggio naturale, alla dislocazione dei vari gruppi di oasi, alla viabilità carovaniera, che costituirono il primo importante contributo alla conoscenza di quella lontana regione sahariana»

La situazione nella Sirtica, non era idilliaca, le truppe italiane erano rintanate nelle principali città costiere, sotto costante minaccia senussita. Incalzato da Salandra, il governatore della Libia, il generale Tassoni, ordinò di pacificare la zona, relegando questo arduo compito al colonnello Gianinazzi. Forte di 2000 mila uomini, di cui solamente 700 soldati regolari, provenienti dal 1o  reggimento libico. La colonna era inoltre dotata di 4 cannoni da  70/15 Mod. 1902 e 6 mitragliatrici Vickers. La forza fu presto circondata da 2000 senussi presso Chormèt el Chadammia. Gli italiani, dopo scontri furibondi, dove lo stesso Gianinazzi fu ferito gravemente, furono costretti a ritirarsi su Mizda, località mai raggiunta dalla colonna, che fu annientata presso Uadi Marsit. Le perdite furono alte, sia in termini di vite umane che in materiale bellico. più di 400 fucili furono persi, insieme a 3 cannoni da 70/15.

L’alto comando, su richiesta di Tassoni, decise però di rispedire il colonnello Miani in Libia, per ristabilire l’ordine.

Arrivato a Misurata, organizzò una colonna composta da un  battaglione del 57º reggimento di fanteria , del 2º battaglione del 2º reggimento Bersaglieri , il 15º battaglione eritreo, il 4º ed il 13º battaglione libico, ed 1 squadrone Meharisti, per un totale di di 3.070 soldati regolari, a cui si aggiunsero due batterie da 70 mm, di 12 pezzi da montagna e di 12 mitragliatrici Maxim-Vickers, più 2.000 cammelli e 20 muli. Inoltre Miani reclutò le bande irregolari Misurata, Zitten e Msellata. Il 5 aprile 1915, la colonna lasciò Misurata arrivando quattro giorni più tardi a Bir el Ezzar dove la attendevano le bande Tarhuna e Orfella, al comando del maggiore Rosso.  Il 14 la colonna, forte di 6000 uomini, si accampò a Bir el-Gheddahia e da lì ripartì verso l’accampamento dei ribelli che si trovava a Gasr Bu Hadi. Sorsero difficoltà di approvvigionamento dell’acqua e con le bande arabe che non volevano allontanarsi dal loro territorio. Il 28 aprile la colonna marciava in direzione di Gasr bu Hàdi, località in cui egli stimava si trovassero circa dai 1000 ai 1.500 mujahedin agli ordini dei capi ribelli Safi ed-Din, Ahmed Tuati e Abdallah ben Idris. 

Alle 10:30 i ribelli attaccarono la lenta colonna italiana, concentrandosi sulla retroguardia formata dalle bande irregolari libiche. Le salmerie caddero rapidamente in mano nemiche, anche a causa del tradimento delle bande di Misurata, Tarhuna e Orfella, che si diedero al saccheggio. La banda Zitten non tradì, ma travolta dal caos della battaglia, ormai in rotta, incominciò la disastrosa ritirata verso Sirte. I reparti regolari libici, insieme ai reparti nazionali, combatterono eroicamente, nel tentativo di attenuare la sconfitta e di ritirarsi con ordine fino a Sirte. Dopo che la maggior parte del corpo ufficiali della spedizione cadde vittima della fucileria senussita, il capitano dei bersaglieri Antonino Antonini raccolse i rimasugli della colonna e riuscì a ritirarsi ordinatamente fino alle dune a sud di Sirte, a difesa della città.

  Alla sera il disastro emerse in tutta la sua gravità, con la perdita di 19 ufficiali, 237 soldati nazionali, e 242 ascari eritrei e libici. I ribelli catturarono 5.000 fucili, circa 3 milioni di cartucce, almeno 6 mitragliatrici, quasi tutti i pezzi da 70 mm e persino la cassa militare. Anche Miani, fu ferito da due proiettili. Nonostante ciò al suo ritorno a Sirte, in data 1 maggio 1915, convocò un Tribunale militare straordinario che condannò a morte 13 capi delle bande libiche cui egli stesso aveva affidato posizioni di comando. Considerato dal comando italiano come principale responsabile della disfatta, fu fatto rientrare precipitosamente in Italia, ma non venne sottoposto ad alcun processo. Scelto come capo espiatorio, il 16 giugno 1916 fu collocato a riposo d’autorità, e richiamato brevemente in servizio nel corso del 1917, assumendo l’incarico di comandante del settore della Vallarsa, fu esonerato poco tempo dopo, non ricoprendo più alcun incarico militare.

La disfatta delle truppe italiane fu causata dalla scelta di Miani di reclutare forzatamente truppe locali. Le nostre forze irregolari, forti di 3000 uomini e 220 cavalli, erano troppe numerose rispetto alle nostre forze regolari. Se uniamo questo alla loro dubbia fedeltà, ed alla scarsa volontà di battersi per la causa italiana, notiamo che il tradimento consumato a Gasr bu Hadi era già scritto. Ciò nonostante, la sconfitta delle truppe italiane non è da imputare soltanto alle truppe irregolari, ma bensi alla scarsa capacità tattica e organizzativa di Miani, che non imparò nulla dalla sua esperienza nel Fezzan e dalla disfatta di Gianinazzi. La colonna, compatta ma poco agile, fu un bersaglio facile per le mobili forze senussite. 

La sconfitta fu causata anche grazie alla mancanza di un’adeguata ricognizione e conoscenza del territorio. Le responsabilità, però, non sono soltanto imputabili a Miani, infatti lo stesso Tassoni, su pressioni dall’alto comando (Cadorna), negò adeguati rinforzi di truppe nazionali al colonnello, dato che la maggior parte dei soldati italiani erano stati rimpatriati, in vista dell’imminente conflitto contro l’impero Austro-Ungarico. La tentata occupazione del Fezzan fu un fallimento dal punto sia tattico che strategico. Un tale dispendio di risorse per una regione prevalentemente desertica, priva all’ora di qualsiasi valenza economica, rese la conquista della Libia un disastro. Per quanto riguarda il Fezzan, le parole del tenente Gonzaga esprimono una preoccupante incertezza riguardo la valenza delle terre appena conquistate: “Non so se si potranno mettere a frutto queste terre, ma è certo che ciò che è deserto rimarrà sempre tale perché mancano le condizioni di vita, il resto temo darà per molto tempo assai pochi frutti

Per terminare questo episodio dedicato alle nostre sventure coloniali, voglio lasciarvi con una frase del peggior ufficiale che l’Italia abbia mai visto, ovvero il maresciallo Graziani, forse una delle poche frasi sensate che abbia mai detto:  “La guerra nel deserto deve essere totalitaria, in avanzata ed in ritirata, nel deserto non ci si può mai fermare.”

Fonti:

 Soave, Paolo. “UNA REGIONE ‘STRATEGICA’: IL FEZZAN.” Africa: Rivista Trimestrale Di Studi e Documentazione Dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, vol. 57, no. 1, 2002, pp. 55–85. JSTOR, http://www.jstor.org/stable/40761602. Accessed 31 May 2021.

 Bianchi, Roberto. Archivio Storico Italiano, vol. 162, no. 3 (601), 2004, pp. 610–612. JSTOR, http://www.jstor.org/stable/26231083. Accessed 31 May 2021.

 Guido Rellini, Con la spedizione Miani per l’occupazione del Fezzàn, in BSGI, 1927, pp. 260-285; 383-412; 497-557.

 Rosselli, Alberto. Le operazioni militari in Libia e nel Sahara 1914-1918 pp. 4-5. http://www.qattara.it/primapagina_file/Libia.pdf

  Del Boca, Angelo (2004). La disfatta di Gasr Bu Hadi. Mondadori. p. 9. ISBN 88-04-52899-0.

  Anivac, Anel. Ricciardi, Enrico, Storia Militare 22. La Guerra Italo-Turca e Rivolte Senussite 1911-1931 pp.8-9, 40-41. 

 Francioni, Andrea. “IL MIRAGGIO DEI FOSFATI: LA MISSIONE SANFILIPPO IN TRIPOLITANIA (1929-1931).” Il Politico, vol. 61, no. 2 (177), 1996, pp. 251–272. JSTOR, http://www.jstor.org/stable/43101641.

Sitografia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Miani

https://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri17.html

http://www.archiviofotografico.societageografica.it/index.php?it/326/spedizione-miani-nel-fezzan-1913-1914