CV 29 – La genesi dei carri veloci

Spesso quando si parla di mezzi corazzati italiani si pensa ai CV 33, ma purtroppo sono in pochi a conoscere il progetto pilota da cui si sviluppò questo famosissimo carro. Quest’oggi parleremo del Carro Veloce Mod. 1929, il progenitore dei famosissimi carri veloci che noi tutti conosciamo.

Contesto storico

Partiamo facendo un rapido recap dei mezzi corazzati che presero servizio con il Regio Esercito durante la grande guerra e il primo dopoguerra. Durante il 1917/1918, sebbene il fronte italiano, per le sue caratteristiche impervie e montagnose, non si prestasse molto all’impiego di corazzati Il nostro stato maggiore si interessò ai carri armati impiegati finora dagli alleati inglesi e francesi. Solamente quest’ultimi vendettero alcuni esemplari al nostro paese, tra cui uno Schneider CA1 e quattro carri FT nel 1918: due con torretta fusa “Girod” e due con torretta rivettata “Berliet”. Entrambi i tipi di torretta erano “omnibus”; potrebbero portare un cannone da 37 mm o una mitragliatrice.

Da sinistra verso destra: Fiat 3000, Renault FT-17, Schneider CA1 ed un Fiat 2000. Foto scattata agli inizi degli anni ’20 durante una dimostrazione svolta nella capitale.

In seguito al rifiuto del governo francese di fornirne altri, fu avviata la progettazione del Fiat 3000. Le caratterische principali che lo differenziano dal modello francese erano le seguenti

  • Il motore, un Fiat 304 a 4 cilindri alimentato a benzina e raffreddato ad acqua, con una cilindrata di 6 235 cm³, era in grado di sviluppare una potenza di 50 CV nel mezzo francese era di 35 hp, disposto longitudinalmente, nel corazzato nazionale era molto più potente, ma soprattutto sistemato trasversalmente, che consentiva una diminuzione di lunghezza di ben 1,4 m (5 m a fronte di soli 3,61); ciò garantiva un peso inferiore di 1,5 t, per un totale di 5,1 t.
  • La struttura della torretta fu modificata, mentre per quanto riguarda l’armamento il mezzo era armato 2 mitragliatrici SIA Mod. 1918 da 6,5 mm e successivamente, come vedremo in seguito, da un cannone da 37 mm.

Ne vennero ordinati circa 1200 , ma la fine del conflitto comportò la riduzione dell’ordine a soli 100 esemplari, la cui consegna, a causa della difficile situazione interna del paese, slittò al giugno 1920. Il carro entrò in servizio nel 1921 con la denominazione ufficiale di carro d’assalto Fiat 3000 Mod. 21.

Date le ristrettezze economiche ed anche un calo d’interesse da parte del nostro stato maggiore, il nostro esercito rimase per tutti gli anni venti con solo 100 Fiat 3000, bocciando l’ipotesi di sostituirli con un modello più potente suggerito dal colonnello Maltese, definito Fiat 3000 tipo II. Fu solamente programmato di sostiure l’armamento di alcuni carri con il cannone da 37/40 Vickers-Terni. Ceva e Curami nel loro libro, La Meccanizzazione dell’Esercito fino al 1943, evidenziano il fatto che tale richiesta d’ammodernamento dell’armamento era risalente al 1923, inoltre interessò solamente un numero limitato di veicoli già prodotti.

Fiat 2000 Tipo ‘2’

Durante le manovre del 1929 in Val Varaita con la partecipazione di due battaglioni FIAT 3000, divenne palesemente chiaro il bisogno di un sostituto. L’impossibilità di abbandonare le strade di fondo valle e l’ingombro eccessivo del veicolo fece comprendere al Regio Esercito i limiti del carro armato della Fiat.

Fu quindi deciso di affidare all’Ispettorato tecnico automobilistico l’arduo compito di trovare sul mercato estero un mezzo caratterizzato da delle dimensioni d’ingombro ridotte, una buona manovrabilità ed una decente adattabilità al terreno nazionale e coloniale. Iniziò subito la ricerca di mezzi che potessero rispondere a tali requisiti, analizzando sia mezzi ruotati che cingolati.

In realtà la ricerca di nuovi mezzi corazzati era già partita nel 1928, rilevando la scarsa capacità delle industrie nazionali d’ideare e produrre un modello domestico. Naturalmente l’interesse ricadde sui carri inglesi, allora i più moderni al mondo.

Si acquisto nel 1929 a titolo sperimentale un Vickers-6 ton, dalla quale si ricavò il treno di rotolamento dei carri della serie M e due Carden Loyd rispettivamente un Mark V* ed un Mark VI . Quest’ultimo fu provato nel 1929 nei pressi di Savona. Il carro si dimostrò essere abbastanza piccolo da adattarsi ai terreni montuosi ed anche a quelli coloniali, ma l’armamento e la corazzatura erano insufficienti. Nonostante ciò il carro fu adottato dal Regio Esercito con la denominazione ufficiale di Carro Veloce Mod. 29. Ne furono acquistati in totale 25 esemplari in due lotti, il primo da 4 ed il secondo da 21 esemplari. Dodici di essi furono assemblati dalla OTO.

CV 29

Caratteristiche tecniche

Il CV29 era un cingolato piccolo e leggero: lungo 2,5 n, largo 1,70 m, alto 1,28 m e pesante 1,7 t; la nanovrabilità su terreni montani era buona, rispettando così il principale requisito espresso dagli organi tecnici italiani, ovvero la capacità di transitare attraverso strette strade di montagna e di superare ogni tipo di ponte che permettesse il transito di una vettura a motore. Che si trattasse di un tankette, ovvero di un cingolato sprovvisto di torretta girevole, non sembrò preoccupare più di tanto.

Esso era spinto da un motore Ford Model T 4 da 22 CV che sviluppava una velocità massima di 48 km/h. Il serbatoio di 27 litri garantiva una autonomia massima di 100 km su strada oppure due ore su terreni accidentati.

Inizialmente il carro era dotato di una mitragliatrice Vickers, sostituita poi da una mitragliatrice Fiat-Revelli Mod. 1914 raffreddata ad aria del tipo “aviazione” da 6,5 mm.

L’arma era montata anteriormente sul lato destro ed azionata dal comandante.

Per l’appunto l’equipaggio era composto dal pilota e dal comandante

Cv 29 ritratto durante una dimostrazione in territorio coloniale.

Inizialmente destinato alla ricognizione, il C.V. 29 servi essenzialmente per condurre prove sul campo utili a progettare il successivo C.V. 33. Equipaggiò 2 compagnie in precedenza dotate di autoblindo Lancia-Ansaldo e rinforzò le divisioni di cavalleria; nel 1938 alcuni esemplari ricevettero un rimorchietto cingolato usato per la creazione di cortine fumogene. Rinominato L29 nel 1938 secondo la nuova classificazione adottata, nessun esemplare vide un impiego in combattimento e risultò ancora operativo nel giugno del 1940.

Un pensiero su “CV 29 – La genesi dei carri veloci

  1. non sono d’accordo che il carro servì a rafforzare le divisioni di cavalleria. Le due compagnie carri CV29 appartenevano al Reggimento Carri Armati (unità capostipite della specialità carristi e non di cavalleria) che le impiegò per sperimentarne l’impiego nelle Divisioni celeri (quindi con cavalleria e bersaglieri ciclisti). Si trattò di esperimenti compiuti tra il 1931 e il 1934 a seguito dei quali si decise di adottare il carro L3/33 dato poi in dotazione al Reggimento Guide (previo addestramento del personale effettuato sempre a cura del Reggimento Carri Armati tra l’ottobre 1932 e luglio 1934) dal quale negli intendimenti del Sottosegretario Baistrocchi si sarebbe dovuta iniziare la meccanizzazione (almeno parziale (o forse graduale) della cavalleria cosa che poi come noto, fu decisamente interrotta nel 1936 con tutte le conseguenze che si conoscono. Il battaglione Automitragliatrici di Codroipo modificò la propria denominazione il Gruppo carri veloci (al comando del Tenente Colonnello Valentino Babini, sempre del Reggimento Carri Armati) e le due compagnie presero il nome di squadroni (ma le due Squadriglie autoblindo rimasero organiche conservando il loro nome). Tale Gruppo carri veloci (privo di numerazione) cessò di esistere il 20 giugno 1935.

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