Introduzione
Durante la Prima Guerra Mondiale furono presentati numerosi progetti di autoveicoli da combattimento al Regio Esercito Italiani e molti di essi finirono ben presto nel dimenticatoio. In questo quadro si collocano le ardite soluzioni dell’ingegnere Gino Turrinelli: da un carro d’assalto con dieci mitragliatrici, quattro cingoli indipendenti e trasmissione elettrica, a un’automobile “da deserto” a otto ruote tutte motrici, concepita per “rotolare” sulla sabbia. Prima di addentrarci nell’analisi dei suoi progetti, è opportuno soffermarsi brevemente sulla figura del loro ideatore.
Chi era Turrinelli?
Milanese, classe fine Ottocento, Gino Turinelli fu un pioniere della trazione elettrica. Nel 1899 fondò la SIVE – Società Italiana Vetture Elettriche Turrinelli & C., costruendo vetture elettrichenle quali negli anni persero la crescente concorrenza delle auto a benzina. scoppiata la Grande Guerra, l’ingegnere decise di presentare una serie di interessanti progetti presentati in collaborazione con l’Ansaldo. Tra questi troviamo autocarri elettrici, ibridi, trattori per il traino delle artiglierie, scavatrici, automobili blindate e carri armati. Proprio questi ultimi catturarono le attenzioni del Regio Esercito per l’innovativo sistema di trasmissione che lo rendeva unico nel suo genere.
La testuggine corazzata
Il carro armato fece il suo debutto operativo sui campi di battaglia nel settembre del 1916. La Gran Bretagna, promotrice e finanziatrice di questo innovativo sistema d’arma sin dall’anno precedente, ne decretò l’impiego per la prima volta durante le offensive della Somme, in particolare nelle fasi note come la battaglia di Flers-Courcelette e di Delville Wood. Nonostante che la comparsa dei task seminò in prima battuta il panico tra le file tedesche, ci si rese presto conto dei limiti operativi di tali mezzi, troppo delicati meccanicamente e lenti nel difficile terreno del fronte occidentale. Inoltre si constatò anche una certa difficoltà nel superare ostacoli come buche formatesi grazie al fuoco dell’artiglieria, dossi, trincee e altri ostacoli.

L’introduzione di un tale strumento bellico da parte britannica innescò immediatamente l’interesse delle potenze alleate. La Francia procedette rapidamente nello sviluppo di propri modelli, come lo Schneider CA1 ed il Saint Chamomd.In Italia, tuttavia, l’iniziale fervore fu attenuato da valutazioni strategiche e orografiche. In Molti nel Regio Esercito ritenevano che la morfologia montuosa del fronte italiano rendesse l’uso di mezzi corazzati pesanti e lenti estremamente difficoltoso o inutile. Nonostante questo scetticismo, l’Italia non rimase completamente inerte: l’industria nazionale, come la Fiat e l’Ansaldo si cimentarono nell’impresa di sviluppare il proprio tank.
Proprio l’azienda genovese affidò tale incarico all’ingegnere Turrinelli il quale ideò il proprio mezzo tenendo conto del difficile terreno del fronte italiano ed utilizzando le tecniche e competenze acquisite negli anni nell’ambito della trazione elettrica. La concezione tecnica si fondava su un principio di mobilità rivoluzionario per l’epoca: una perfetta e uniforme distribuzione del carico e della forza motrice.
Per raggiungere tale obiettivo, il veicolo era equipaggiato con quattro gruppi motori indipendenti, meccanicamente distinti l’uno dall’altro, che fungevano da punti d’appoggio. Questo sistema conferiva alla macchina una straordinaria capacità di adattamento: di fronte a ostacoli rocciosi alti fino a 50 o 60 centimetri, il diverso orientamento di questi elementi consentiva al mezzo di assorbire l’urto senza concentrare il carico su un singolo punto, scongiurando così il rischio di rotture.

Il progetto si distingueva nettamente dai carri armati fino ad allora in servizio a sistema rigido in uso, le quali, nel superare ostacoli modesti, erano costrette a subire cadute di oltre due metri. La Turrinelli, al contrario, garantiva “oscillazioni relativamente lievi” e tollerabili per l’equipaggio, assicurando la piena operatività della macchina e dei combattenti.

La realizzazione di questo mezzo prevedeva l’impiego propulsione ibrida. I 4 motori elettrici, erano alimentati da un generatore centrale. Quest’ultimo traeva la sua forza motrice da un motore a 24 cilindri, capace di erogare una potenza complessiva di 200 cavalli e montato trasversalmente al centro dello scafo.
Per quando riguarda l’armamento, la testuggine era dotata di una notevole potenza di fuoco, potendo schierare un totale di dieci mitragliatrici: otto disposte sui lati (quattro per ciascun lato) e due alloggiate in torrette girevoli, posizionate strategicamente sulla parte anteriore e su quella posteriore del veicolo.Eventualmente l’armamento poteva essere arricchito da 12 lanciafiamme, posto sotto le mitragliatrici.
Inoltre al centro del carro c’era un ulteriore torretta, non girevole, dove teoricamente prendeva posto il capocarro. Per quanto riguarda l’equipaggio non si hanno dati certi, ma considerando le dimensioni imponenti del mezzo (era lungo circa 8 metri, largo 4,15 e alto 4,65 metri), ipotizzò che era composto almeno da una dozzina di persone, tra cui 10 mitraglieri, il capocarro ed il pilota.

Probabilmente proprio le dimensioni esagerate del mezzo ed il peso che probabilmente si sarebbe agirato sulle 70 e 80 tonnellate fecero desistere il Regio Esercito nel mostrare alcun interesse nel progetto, il quale rimase solamente su carta.