Il Debito del Regno delle Due Sicilie

Negli ultimi anni una discreta quantità di persone ha cominciato a definire, specialmente sui Social Network, Garibaldi con appellativi poco felici tra cui quello di ladro, affermando che egli abbia derubato il Regno delle Due Sicilie. Alcuni di questi utenti hanno anche affermato che il Regno dei Borbone fosse uno dei più ricchi della penisola e che il Piemonte, promotore dell’unità nazionale nel 1859-1860 abbia utilizzato le presunte ricchezze del Sud Italia per appianare i propri debiti. Ma queste affermazioni, spesso presentate con assoluta certezza, trovano davvero riscontro nei fatti?

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Contesto Storico

Fortunatamente disponiamo oggi di una quantità significativa di fonti coeve e documenti contabili che ci permettono di analizzare con un certo rigore la situazione finanziaria degli Stati preunitari. Per questo ritengo opportuno fare una breve panoramica generale, prima di concentrarci più nel dettaglio sulle finanze del Regno delle Due Sicilie. Innanzitutto è importante sottolineare che, prima dell’unità politica della penisola, la situazione finanziaria dei singoli Stati era tutt’altro che florida, poiché ciascuno di essi possedeva un proprio debito pubblico.(1) Tale passivo era amministrato a livello statale o regionale, in base alla legislazione del singolo stato.(2)

Ma a quanto ammontava tale debito?

All’inizio del secolo, in seguito alla fine delle guerre napoleoniche, i vari Stati iniziarono a contrarre debiti per far fronte agli onerosi costi dell’amministrazione civile, del mantenimento degli eserciti e di altre spese legate alla volontà di duchi e sovrani. Tali spese, prima delle guerre d’indipendenza, si aggiravano complessivamente intorno ai 500 milioni di vecchie lire, a fronte di un debito complessivo di circa 2000 milioni. Tuttavia, nel 1860, gli Stati preunitari si ritrovarono con un passivo ben più elevato. Per comprendere meglio la portata del fenomeno, conviene osservare qualche cifra concreta: 

  • Due Sicilie: L. 550,000,000 (circa 155 mln di Ducati);
  • Ducato di Parma: L. 10,558,215;
  • Ducato di Modena: L. 11,056,380;
  • Stati Pontifici: L. 16,577,120;
  • Granducato di Toscana: L. 152,080,000;
  • Regno di Sardegna: L. 1,599,970,305.

Sulle casse del Regno di Sardegna gravano le forti spese militari sostenuto nel 1848/49, le forti compensazioni di guerra dovute agli austriaci a seguito della disfatta di Novara,e le ingenti spese militari del decennio successivo per l’ammodernamento dell’esercito e della marina e per le spese sostenute nella guerra di Crimea e nella Seconda Guerra d’Indipendenza.

Il debito del Regno delle Due Sicilie

Per quanto riguarda invece il Regno delle Due Sicilie, le origini del suo debito presentano caratteristiche in parte differenti rispetto a quelle degli altri Stati italiani. Il debito pubblico era articolato in due sezioni distinte: una per le province “al di qua del Faro”, gestita da un’amministrazione con sede a Napoli, e l’altra per le province dell’isola, con sede amministrativa a Palermo. Le strutture preposte alla gestione del debito erano organizzate in uffici di diversa importanza, in base sia all’ammontare delle somme da amministrare, sia al peso politico dei territori coinvolti. In entrambe le aree — continentale e insulare — la supervisione era affidata a Direzioni generali.

Il Regno delle Due Sicilie contrasse debito pubblico per la prima volta nel 1806, durante il regno di Giuseppe Bonaparte, insediato sul trono di Napoli a seguito dell’invasione francese. Si tratta comunque di cifre irrisorie rispetto ai prestiti ricevuti in seguito. Una volta tornati i Borbone, essi contrassero un secondo debito a causa delle insurrezioni popolari del 1820. Questa iniziò dalla ribellione di due giovani sottotenenti: Michele Morelli e Giuseppe Silvati. Questi due ufficiali, appartenenti allo squadrone del reggimento Borbone di stanza a Nola, animarono i propri sottoposti ad insorgere contro il Re invocando la costituzione. In tutto 127 uomini imbracciarono le armi e cominciarono a marciare verso Avellino. In pochi giorni l’insurrezione divampò in tutta l’Irpinia, a Salerno e a Napoli ed il Re e i suoi ministri si ritrovarono incapaci di contrastare i costituzionalisti. In soli 5 giorni il Sovrano fu costretto a promulgare la costituzione di Cadice. Ma egli non si perse d’animo e corse al Congresso di Lubiana per pregare il Metternich di intervenire per restaurare il proprio potere assoluto. L’intervento militare austriaco del 1821 sconfisse la popolazione insorta ed il governo costituzionale dando inizio ad una occupazione austriaca del regno durata ben 5 anni. L’occupazione fu di buon grado pagata con le casse dello stato dal Sovrano, il quale spese l’imponente cifra di 80 milioni di Lire per reprimere la propria popolazione. Il Regno sostenne anche spese ingenti per riformare l’esercito e per potenziare la polizia, la quale mansione principale era quella di censurare e dar caccia a qualsiasi liberale o costituzionalista. La prima guerra d’indipendenza con la soppressione della rivolta siciliana e l’invio del 10° regg. di fanteria in Nord Italia costò altri 30 milioni. Ma la spesa maggiore fu sostenuta nel decennio successivo per modernizzare l’esercito e la marina. Resta il fatto che oltre all’esercito ed alla polizia, il governo del Regno fu spesso restio ad investire i propri fondi, nel tentativo di contenere il debito. (4)

Pertanto, si può affermare che, con l’annessione del Regno delle Due Sicilie allo Stato unitario, quest’ultimo non si arricchì affatto, ma fu piuttosto costretto ad assorbirne il debito contratto sotto la dinastia borbonica, perciò è completamente errata l’affermazione di certe persone per cui i “piemontesi e Garibaldi” derubarono il Sud Italia, bensì dovette addossarsi ulteriori debiti, compromettendo la situazione finanziaria dello stato. Come ricorda il “Reale Istituto d’Incoraggiamento di Napoli”:[il Regno delle due Sicilie] per reprimere il movimento unitario, spese di più che il Piemonte per secondarlo

Dopottutto la politica dei Borbone era a volte “violenta per paura e non per crudeltà”.(5)

Bisogna ricordare che la maggior parte del debito contratto dal Piemonte fu impiegata per finanziare un’ingente quantità di opere pubbliche. Negli anni successivi al 1849, furono notevolmente ampliate la reti stradali e ferroviarie, vennero costruiti ponti, canali e numerose infrastrutture civili. Queste politiche di investimento contribuirono alla crescita del settore industriale, che avrebbe raggiunto il suo apice nel secolo successivo. Tuttavia, tale progresso ebbe un costo: gravò sulle spalle dei contribuenti piemontesi, i quali, negli anni precedenti all’unificazione, videro aumentare in modo sensibile la pressione fiscale. Ben diverso fu il caso del Regno delle Due Sicilie, che limitò fortemente la realizzazione di opere pubbliche, mantenendo invece una tassazione tra le più basse della penisola. Le aliquote fiscali rimasero pressoché invariate negli anni che precedettero l’unificazione. Gran parte delle entrate del Regno derivava dal monopolio sul gioco del lotto, che il governo borbonico si ostinò a conservare come strumento tanto finanziario quanto politico. Tuttavia, tale scelta finì per ostacolare lo sviluppo di una previdenza pubblica moderna e contribuì ad accrescere il disagio sociale tra le classi popolari.

Nel tentativo di evitare rivolte e tensioni interne, l’amministrazione finanziaria napoletana arrivò quasi ad esentare commercianti e ceti urbani da imposte dirette. Le pensioni, inoltre, risultavano significativamente inferiori rispetto a quelle garantite dal Piemonte. L’ordinamento finanziario del Regno delle Due Sicilie, pur caratterizzato da una tassazione contenuta, non si traduceva dunque in una reale solidità economica. Il debito pubblico ammontava a circa un terzo di quello piemontese, ma le risorse disponibili erano limitate: nel settembre del 1860, il patrimonio del Banco delle Due Sicilie si era ridotto a soli 2 milioni di ducati (9 milioni di Lire), a fronte di un disavanzo complessivo di ben 153 milioni. (6)

A ciò si aggiungeva la debolezza delle infrastrutture: il Mezzogiorno si presentava privo di una rete stradale efficiente e con un sistema ferroviario pressoché inesistente. Il governo postunitario, oltre ad assorbire i debiti ereditati dalla dinastia borbonica, fu quindi costretto a destinare ingenti risorse pubbliche al miglioramento delle infrastrutture nel Sud Italia.

Per rispondere alla domanda iniziale: Garibaldi e i Piemontesi derubarono il Sud?

Personalmente direi di no, almeno alla luce di un’analisi attenta delle fonti disponibili. Tuttavia, è innegabile che, per risanare il debito unificato, la pressione fiscale aumentò in modo significativo, finendo per penalizzare soprattutto le classi meno abbienti e frenare lo sviluppo industriale del Mezzogiorno. Inoltre, gli interessi maturati sui prestiti statali fecero sì che gli unici a trarre reale beneficio furono proprio i ceti abbienti che avevano finanziato il governo. Lo stato provò a colmare il divario finanziario grazie alle grandi vendite dei beni demaniali e di quelli confiscati alla Chiesa. Purtroppo, tutto ciò non fu sufficiente, e il governo fu costretto ad aumentare nuovamente il carico fiscale sui contribuenti, introducendo la discussa e impopolare “tassa sul macinato”, che colpì duramente i ceti meno abbienti in tutta la penisola.

Note:

(1): Della indipendenza italiana cronistoria di Cesare Cantù. Italia, Unione tipografico-editrice torinese, 1876, pag. 617-618.

(2): Mancardi, F.. Cenni storici sull’amministrazione del debito pubblico del regno d’Italia e sulle amministrazioni annesse offerti al parlamento nazionale. Italia, Stamperia Reale, 1874, pag. 3.

(3): La Civiltà cattolica. N.p., La Civiltà cattolica, 1861.

(4): Atti del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli. Italia, n.p, 1899, pag. 43.

(5): Atti del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli. Italia, n.p, 1899, pag. 43.

(6): Bisogna sottolineare che a seguito dell’unificazione il Banco acrebbe il suo patrimonio, il quale passò da nove milioni di lire del settembre 1860 passò ad oltre diciotto milioni a metà del 1863. A sua volta, la riserva salì da poco più di 6 milioni di ducati dell’aprile 1861 a oltre 10 milioni di fine 1863 (corrispondenti a circa 45 milioni di lire oro). Il cambio tra Ducati e Lire era di 1 D. ogni 4,25 L. L’Archivio storico del Banco di Napoli, Napoli 2005, pag. 68.

Bibliografia

  • Cantù, Cesare. Della indipendenza italiana cronistoria di Cesare Cantù. Italia, Unione tipografico-editrice torinese, 1876.
  • Atti del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli. Italia, n.p, 1899
  • La Civiltà cattolica. N.p., La Civiltà cattolica, 1861.
  • L’Archivio storico del Banco di Napoli, Napoli 2005.
  • Mancardi, F.. Cenni storici sull’amministrazione del debito pubblico del regno d’Italia e sulle amministrazioni annesse offerti al parlamento nazionale. Italia, Stamperia Reale, 1874.

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