La Camorra e la Regia Marina 

A seguito dell’unificazione italiana, la fusione delle diverse marine degli stati preunitari fu un processo complesso. Il Regno di Sardegna, che costituiva la base della nuova Marina, incorporò le forze navali del Regno delle Due Sicilie, del Granducato di Toscana e delle altre realtà marittime pre unitarie.

L’integrazione dei marinai nella nuova Regia Marina Italiana unificata fu un processo complesso e spesso travagliato. La fusione degli equipaggi provenienti dalle diverse marine preunitarie creò notevoli difficoltà. Tra queste, emersero diversi episodi che evidenziarono l’intenzione della Camorra di infiltrarsi nei ranghi della neonata Regia Marina. Prima di affrontare questi avvenimenti, è doveroso trattare il contesto storico nel quale avvennero.

Contesto Storico

A seguito della spedizione dei Mille e della conseguente avanzata nel meridione di Garibaldi, la marina borbonica cominciò a sfaldarsi. Benché essa rimase inizialmente fedele a Francesco II, bombardando gli insorti in Sicilia, mancò di una guida carismatica e decisa. Inoltre tali atti ostili contro la popolazione del regno turbarono molti ufficiali, specialmente i più giovani, i quali avevano a cuora la causa nazionale, benché i casi di diserzione furono ben pochi. 

Dopotutto, la marina ebbe sempre un occhio di riguardo da parte dei Borbone e contava tra le sue fila numerosi fedelissimi, sia tra le alte gerarchie, spesso appartenenti alla nobiltà partenopea, sia tra i semplici marinai.

Ma le continue sconfitte subite scossero fortemente il morale e la Marina si ritrovò presto allo sbando. La prima scossa fu data dalla defezione della Pirocorvetta Veloce, la quale nel luglio 1860 riparò a Palermo, unendosi poi alla Marina Siciliana. Da lì in poi si verificarono diserzioni, specialmente a seguito dell’entrata a Napoli dell’eroe dei due mondi e della fuga a Gaeta di Francesco II. La maggior parte degli ufficiali, chi per convenienza e chi per amor di patria si unì alla Marina Sarda o Siciliana. Ben diversa era però la storia per quanto riguarda i sottufficiali ed  i marinai. Essi disertarono in massa, lasciando battelli, magazzini e arsenali incustoditi. I disertori e la criminalità organizzata furono ben lieti di approfittare del caos generato facendo razzia di tutto ciò su cui potevano metterci le mani. Il Corpo dei cannonieri ed il Reggimento Real Marina si erano sciolti in autonomia.

Ufficiali del Reggimento Real Marina

Le infiltrazioni della camorra

La marina dittatoriale tentò di porre fine alle varie ruberie e diserzioni ma con scarso successo. Inoltre essa cercò di reclutare i marinai necessari per equipaggiare le navi borboniche di cui era appena entrata in possesso. Ma il governo non era abbastanza forte per richiamare i disertori né per istituire una leva, perciò si cercò di reclutare volontari offrendo loro un’ottima paga, ma questo espediente non diede i risultati sperati e portò con sé un gran numero di persone poco affidabili. In questo modo la camorra ebbe modo d’infiltrarsi nei ranghi della marina dittatoriale siciliana, la quale poi confluì nella neonata Regia Marina Italiana.

L’organizzazione criminale si infiltrò silenziosamente ma ben presto le prime malefatte vennero a galla. La prima chiara manifestazione di questo grave problema si verificò nel 1862 a bordo della fregata “Garibaldi”.

La nave, posta al comando del marchese Evaristo del Carretto, si trovava in navigazione tra la Sardegna ed il Golfo di Napoli. Era il 27 del mese e come di consueto ai marinai fu data la propria paga mensile. Proprio nei momenti successivi alla distribuzione dei salari scoppiò una rissa furibonda sul castello di prora. Il comandante, il quale stava tranquillamente passeggiando sul casseretto, osservò con un stupore cosa stesse accadendo ed accorse con l’ufficiale di guardia ed il suo secondo a sedare il tumulto. 

Spenta la rissa, si cercò di capire l’origine di tale violenza. La dinamica dell’incidente fu presto chiara: alcuni marinai napoletani avevano domandato, con fare minaccioso, ai propri commilitoni, perlopiù originari del Settentrione, una parte della propria paga, sotto la minaccia di ritorsioni future. I genovesi però rifiutarono categoricamente tali prevaricazioni ed i toni si fecero via via più accesi finché le due parti non vennero alle mani.  

L’ufficiale segnalò ai suoi superiori il grave accaduto e punì duramente i responsabili. L’ammiraglio Giovan Battista Albini, appena giunse a Napoli, fece rapporto al ministero della Marina. Persano, quando lo venne a sapere, diede disposizioni severe per reprimere la camorra e la sua diffusione all’interno della Regia Marina. A tale scopo mandò Montezemolo (Adriano?) all’arsenale di Napoli. Avvennero comunque dei casi sporadici ma la diffusione della camorra fu spenta sul nascere.

L’arsenale di Napoli in una fotografia dell’epoca

Bibliografia

  • Azeglio, Massimo d’. Lettere di Massimo d’Azeglio a Carlo di Persano nel decorso di diciannove anni. Italia, Tipografia editrice G. Candeletti, 1878.
  • Randaccio, Carlo. Storia delle marine militari italiane dal 1750 al 1860 e della marina militare italiana dal 1860 al 1870. Italia, Forzani, 1886. Libro primo, pag 247.
  • Vecchi, Augusto Vittorio. Memorie di un luogotenente di Vascello. Italia, E. Voghera, 1897.

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