Quando pensiamo ai Normanni, ci vengono in mente le loro conquiste in Inghilterra e Francia, ma pochi sanno che furono anche protagonisti della riconquista cristiana della Sicilia. Oggi vi racconto la storia di Serlone II d’Altavilla, il cavaliere normanno che sfidò i Saraceni nel cuore del Mediterraneo.
Cenni biografici
Serlone era figlio di Tancredi d’Altavilla, capostipite di una delle famiglie normanne più famose. I suoi fratelli, tra cui Ruggero e Roberto il Guiscardo, furono i protagonisti della conquista normanna del Sud Italia. Nel XI secolo, la Sicilia era sotto dominio musulmano da circa due secoli, con Emirati indipendenti spesso in conflitto tra loro. Dopo la presa di Messina nel 1061, i Normanni avanzarono nell’entroterra per consolidare il loro controllo, e a Ruggero fu affidato il governo dell’isola. Serlone, invece, si stabilì a Cerami con il compito di fermare le incursioni saracene e proteggere i territori normanni.
Ma la lotta per il controllo della Sicilia era tutt’altro che finita. I Saraceni di Enna, vedendo il pericolo sempre più imminente, chiamarono nuovi rinforzi dall’Africa. Questi, giunti segretamente in Sicilia, si accamparono nei pressi di Castrogiovanni, pronti a colpire. Ruggero, nel frattempo, rientrava dalla Calabria e dalla Puglia con un carico di armi, vestiari e cavalli, deciso a fronteggiare la nuova minaccia. Senza perdere tempo, si mise in marcia, elaborando un piano per sorprendere i nemici. Con grande astuzia, il conte Ruggero nascose il grosso del suo esercito nei dintorni, preparando un’imboscata. Affidò a Serlone, suo nipote, un compito cruciale: mostrarsi con soli trenta cavalieri davanti al castello di Enna, in modo da provocare i Saraceni e spingerli a uscire allo scoperto. Una volta inseguito, Serlone avrebbe dovuto fingere una ritirata, conducendo i nemici verso l’imboscata dove il resto delle forze normanne li avrebbe attaccati alle spalle. Ma qualcosa andò storto. Serlone, animato dal suo solito ardore in battaglia, si spinse troppo avanti e cadde nella trappola nemica. I suoi uomini furono sopraffatti e massacrati, e solo lui con altri due riuscì a salvarsi, fuggendo verso le linee normanne. La perdita degli uomini di Serlone accese la furia di Ruggero, che si scagliò contro i nemici con la potenza di un fulmine. Guidando il suo esercito con fermezza, sbaragliò gli Africani, infliggendo loro una durissima sconfitta. Molti furono uccisi, altri fuggirono, mentre il bottino sottratto agli invasori fu enorme. Ruggero, dopo aver vendicato i suoi caduti, tornò trionfante a Troina.
Nell’estate del 1063, i Saraceni fecero un ulteriore straordinario sforzo; chiamarono rinforzi dall’Africa e dall’Arabia e marciarono contro Cerami, determinati a riconquistare il territorio. Ruggero corse in aiuto della città e accadde la famosa battaglia, nella quale, secondo il cronista Malaterra, Serlone uscì da Cerami con soli trentasei cavalieri e riuscì a mettere in fuga un esercito di trentamila Saraceni.
La sua abilità militare e il coraggio lo resero presto temuto dai nemici. I Saraceni di Enna, in particolare, vedevano in lui una minaccia costante. Serlone non era solo un guerriero, ma un vero stratega, capace di condurre imboscate e raid fulminei contro le forze musulmane, colpendo con precisione e ritirandosi prima che il nemico potesse organizzare una reazione efficace. Il suo valore gli fece guadagnare fama e rispetto, ma anche molti nemici tra i comandanti musulmani dell’isola.

L’agguato e la morte
Fu proprio la sua notorietà a decretarne la fine. Nell’estate del 1072, un saraceno di Castrogiovanni di nome Ibrahim (chiamato Brachino), uomo astuto e dal carattere instabile, decise di eliminarlo con l’inganno. Serlone strinse con lui una buona amicizia, tanto che tra loro si chiamavano fratelli[1].
L’arabo servì il conquistatore normanno come spia, ma segretamente bramava di ucciderlo. Egli avvisò Serlone di un’imboscata nel bosco in cui era solito andare a caccia, dicendogli che sette uomini erano nascosti per tendergli un agguato. Serlone, fidandosi del consiglio, si preparò e uscì con pochi compagni, convinto di poter affrontare il piccolo gruppo di nemici.
Ma quando giunse sul posto, si rese conto troppo tardi della trappola. Dall’ombra emerse un intero esercito: settecento cavalieri e duemila fanti guidati da Brachino. Sopraffatto dal numero schiacciante, Serlone cercò di fuggire con i pochi uomini che aveva al seguito, ma il suo cavallo fu abbattuto, e lui cadde a terra.
Ferito e isolato, non si arrese. Si rifugiò con i suoi su una rupe impervia, da cui iniziò a lanciare massi e zolle di terra sui nemici che lo inseguivano. Uno dopo l’altro, i suoi compagni caddero sotto i colpi delle frecce saracene, finché rimase solo[2]. In un ultimo atto di disperata resistenza, impugnò la spada e combatté con ferocia, fino a quando i dardi nemici lo colpirono a morte.
Secondo le cronache, i Saraceni divorarono il suo cuore per assorbirne il coraggio e gli mozzarono la testa e quelle dei suoi compagni, infilandole sulle picche e portandole in trionfo per le campagne e poi nelle strade di Enna, come simbolo della loro vittoria. Successivamente inviarono la sua testa al sultano Tamim ibn al-Mu’izz, il quale la fece esibire, infilzata su una picca, lungo le strade di Mahdia. Da quel giorno, la rupe dove Serlone combatté fino all’ultimo prese il suo nome.

Alla notizia della sua morte, Roberto e Ruggero ne ebbero un grandissimo dolore. Serlone d’Altavilla non era solo un cavaliere, ma un simbolo della tenacia normanna. Il suo sacrificio non fu vano: la Sicilia sarebbe caduta sotto il dominio normanno pochi anni dopo, segnando l’inizio di un’epoca di grandi trasformazioni.
Serlone è stato uno di quei guerrieri che, pur non essendo il più famoso, ha lasciato un segno indelebile nella storia. La sua audacia e il suo spirito indomito hanno contribuito alla creazione del Regno di Sicilia, che per secoli fu un crocevia di culture e civiltà.
Note:
[1]: Secondo la tradizione araba, egli toccavano l’estrema parte dell’orecchio dell’altro in segno di amicizia fraterna.
Storia generale di Sicilia del signor De Burigny, tradotta dal francese, illustrata con note, addizioni, tavole cronologiche, e continuata sino a’ nostri giorni dal signor Mariano Scasso e Borrello: 3. N.p., dalle stampe di Solli, 1790.
[2]: In realtà due compagni di Serlone sopravvissero, venendo feriti e sepolti sotto i corpi dei propri compagni.
Palmeri, Niccolò. Somma della storia di Sicilia di Niccolo Palmeri. N.p., Dalla Stamperia di Giuseppe Meli, 1850.
Bibliografia:
- Fazello, Tommaso, and Nannini, Remigio. Le due deche dell’historia di Sicilia. Italia, Appresso Domenico, & Gio. Battista Guerra, fratelli, 1573.
- Palmeri, Niccolò. Somma della storia di Sicilia. (Biografia di N. Palmeri per F. Perez.)., 1835, pag. 40.
- Storia dei Musulmani di Sicilia scritta da Michele Amari. Italia, F. Le Monnier, 1868.
- Storia generale di Sicilia del signor De Burigny, tradotta dal francese, illustrata con note, addizioni, tavole cronologiche, e continuata sino a’ nostri giorni dal signor Mariano Scasso e Borrello: 3. N.p., dalle stampe di Solli, 1790.