Contesto Storico
Durante la Grande Guerra, gli eserciti delle nazioni belligeranti, impantanati in una logorante guerra di trincea, cercarono in vari modi di superare l’impasse che si era creato sul campo di battaglia. L’idea di utilizzare dei veicoli corazzati fu una risposta alla necessità di superare le difficoltà del campo di battaglia, caratterizzato da trincee e reticolati, dove le tattiche tradizionali stavano incontrando notevoli difficoltà. Gli studi su tali veicoli erano iniziati già qualche anno prima della guerra, come testimonia il progetto presentato dall’allora tenente Günther Burstyn all’Imperial regio Esercito austro-ungarico nel 1911. Resta il fatto che il carro armato fu impiegato sul campo di battaglia per la prima volta dagli inglesi nel settembre del 1916 a Flers, con scarso successo. Ciò nonostante la Gran Bretagna e la Francia continuarono a progettare ed impiegare vari modelli di carro armato durante il corso della guerra. Il primo carro armato che impiegò la repubblica francese fu lo Schneider CA1, il quale ebbe il suo battesimo del fuoco nell’aprile del 1917.

Il carro armato in Italia
Anche in Italia l’introduzione di un tale sistema d’arma fece scalpore e destò l’interesse di molti, tra questi vi era il sottosegretario per le Armi e Munizioni, il Generale Dallolio, il quale incominciò a trattare con la Francia per la cessione di un carro Schneider[1]. In realtà in Italia il concetto di un mezzo corazzato utile ad affrontare i reticolati e trincee fu studiato già dal 1915 dalla ditta Pavesi la quale sviluppò un fortino mobile, basato sul telaio del trattore Pavesi-Tolotti Tipo A alla quale si montò una sovrastruttura blindata. Il progetto non ebbe seguito, ma numerosi furono i progettisti e le aziende che si cimenteranno nell’impresa di progettare un carro armato, tra questi ricordiamo l’ing. Turrinelli, l’Ansaldo e la Fiat. Molti ufficiali del R. Esercito però erano scettici sull’utilizzo dei carri armati sul fronte italiano, date le sue caratteristiche impervie e montagnose. Ciò nonostante, mentre l’industria nazionale non riusciva ad approntare un proprio mezzo, l’interesse si concentrò sui modelli esteri. Il Conte Alfredo Bennicelli, dopo aver seguito lo sviluppo del progetto della Pavesi, fu inviato in Francia per studiare i carri d’assalto in uso all’esercito francese ed inglese[2]. Il capitano d’artiglieria riuscì a far arrivare in Italia, dopo mille peripezie, un carro Schneider CA1 dalla Francia, il numero 212. [3]

Con il mezzo vennero effettuate molte prove e collaudi sui terreni accidentati del fronte carsico. La serie di test effettuati diede dei risultati discretamente soddisfacenti. Sì decise così di richiedere alla Francia la cessione di ulteriori esemplari del carro Schneider, ma la trattativa non andò a buon fine. Si cercò quindi di produrli su licenza in patria, infatti fu proposto al cav. Agnelli la produzione del mezzo francese nelle proprie fabbriche, ma quest’ultimo declinò tale proposta dato che preferiva investire su modelli di propria concezione, infatti la Fiat stava costruendo infatti due esemplari di Fiat 2000. Il mezzo risultò poi troppo pesante, dimostrandosi inadatto allo scopo per cui era stato progettato e di conseguenza ne fu esclusa la produzione in serie.
Nell’estate del 1917 proseguirono gli studi per saggiare le possibilità d’impiego dei mezzi corazzati sul fronte italiano e per definire il modello di carro più adatto al terreno impervio e montagnoso. Sulla base delle risultanze di tali indagini, nel settembre 1917, il Comando supremo interessò il Commissariato per le armi e munizioni con le seguenti proposte:
- Acquistare 100 carri Renault e 20 carri Schneider dalla Francia oppure, in alternativa, acquistare dalle fabbriche francesi i complessivi meccanici dei carri ed eseguire il montaggio in Italia.
- Se ciò non fosse stato possibile, ottenere dalla Francia i 20 carri Schneider e fare allestire dall’industria nazionale i tipi Renault, su modelli e piani di costruzione forniti dalla Francia.
- Predisporre per il pronto impiego i carri armati nei campi di istruzione non oltre il 1º marzo, assieme ai materiali vari occorrenti per i servizi.
- Ottenere intanto dalla Francia due carri Renault da destinare, assieme allo Schneider già in nostro possesso, alla scuola che doveva sorgere a Tricesimo per preparare un primo nucleo di istruttori
Sopraggiunta però la disfatta di Caporetto ed il conseguente arretramento sul Piave, l’interesse verso i carri armati scemò drasticamente. Ogni progetto di dotarsi di tale arma finì per il momento nel dimenticatoio. Nel 1918 vennero avanzate due richieste agli alleati di fornire un certo numero di tank, ma entrambe non andarono a buon fine[4]. Nel maggio dello stesso anno, fu costituito, sotto il comando del Mag. Corsale, il Reparto Speciale di Istruzione per gli equipaggi di carri armati, costituito su 4 Renault Ft, 2 Fiat 2000 e sullo Schneider CA1 n. 212.

Nel luglio il commissariato per le armi e munizioni diede a varie ditte italiane l’ordinazione complessiva di 1400 carri del tipo Renault modificato, sostanzialmente si trattava di un Renault FT al quale vi erano state effettuate modifiche e miglioramenti, montante motore Fiat o Ansaldo.
Caratteristiche tecniche
Il carro della Schneider pesava 13,5 t ed era spinto da un motore Schneider a 4 cilindri da 60 cv. Il mezzo aveva una velocità massima di 8 km/h su strada e di 4 su terreno accidentato.
Lo spessore delle piastre che componevano la corazzatura, imbullonate al telaio, era di 11,5 mm, che diventavano 17 mm nella parte frontale, arrivando ad un minimo di 5,5 mm sul fondo dello scafo.
L’armamento principale era costituito da un cannone Schneider SoBS Blockhaus da 75 mm posizionato nella parte destra anteriore dello scafo. Per quanto riguarda l’armamento esso era composto da due mitragliatrici leggere Hotchkiss Mle 1914 da 8 mm con supporti oscillanti semisferici, una per lato e leggermente sfalsate.
L’equipaggio era costituito da 7 uomini: un ufficiale che era capocarro/pilota, un sottufficiale, 2 cannonieri, 2 mitraglieri e un meccanico.
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Note:
[1]: Curami, Andrea, Ceva, Lucio. La meccanizzazione dell’esercito italiano dalle origini al 1943 Italia, Stato maggiore dell’Esercito, Ufficio storico, 1989, pag. 56.
[2]: Pignato Nicola, Cappellano Filippo. Gli autoveicoli da combattimento dell’Esercito Italiano, Stato maggiore dell’Esercito, Ufficio storico, 2002, Vol. 1, pag. 19.
[3]: Meleca, Vincenzo. I carri armati poco conosciuti del Regio Esercito. TraccePerLaMeta edizioni, 2015, pag. 95.
[4]: Curami, Andrea, Ceva, Lucio. La meccanizzazione dell’esercito italiano dalle origini al 1943 Italia, Stato maggiore dell’Esercito, Ufficio storico, 1989, pag. 62.
Fonti:
- Curami, Andrea, Ceva, Lucio. La meccanizzazione dell’esercito italiano dalle origini al 1943 Italia, Stato maggiore dell’Esercito, Ufficio storico, 1989
- Meleca, Vincenzo. I carri armati poco conosciuti del Regio Esercito. TraccePerLaMeta edizioni, 2015.
- Pignato Nicola, Cappellano Filippo. Gli autoveicoli da combattimento dell’Esercito Italiano, Stato maggiore dell’Esercito, Ufficio storico, 2002
- Zero, Vincenzo. Il carro Armato. Rivista dei Carabinieri reali, rassegna di studi militari tecnico professionali. Italia, Giornale d’Italia, 1940