Contesto storico
L’evoluzione tecnica delle armi da fuoco subì una forte accelerazione a partire dalla seconda metà del 19º secolo. I fucili ad avancarica che avevano dominato i campi di battaglia per almeno tre secoli furono sostituiti progressivamente dai fucili a retrocarica che consentivano di ridurre le operazioni necessarie per operare l’arma, ciò permise di migliorare la celerità di tiro. Con la rapida evoluzione delle armi da fuoco e la prevalenza negli arsenali europei dei fucili a ripetizione ci si cominciò ad interrogare su come ridurre al minimo le operazioni necessarie per operare l’arma. Non bastava più che il fante dovesse soltanto aprire e chiudere l’otturatore dell’arma, puntare, premere il grilletto e solo quando occorresse, ricaricare il serbatoio. Gli inventori dell’epoca, tra cui i famosissimi Maxim e Mannlicher, iniziarono a sviluppare un nuovo tipo di armi, ovvero quelle automatiche. In Italia il primo fucile semiautomatico mai progettato è da attribuirsi al colonnello Gaspare Freddi. Esso fu presentato nel 1886, ovvero qualche anno dopo la comparsa dei modelli di Maxim e Mannlicher, presentati rispettivamente nel 1884 e 1885. In 14 anni di continui studi, in un periodo compreso fra il 1886 ed il 1900, l’ufficiale del Regio Esercito presentò vari modelli, i quali condividono in sostanza lo stesso principio di funzionamento. Sono dei fucili a canna rigata scorrevole all’indietro nelle quali sotto la pressione, esercitata dai gas sul fondello del bossolo, quando parte il colpo, avviene lo scorrimento all’indietro della canna e del congegno di chiusura. (Contemporaneamente anche il collega Amerigo Cei-Rigotti sviluppò un’arma analoga) Per la precisione uno era non propriamente semi-automatico, poiché occorreva una pressione suppletiva della mano per ottenere la chiusura dell’otturatore. Il rinculo con l’aiuto di un respingente, produce automaticamente l’apertura della culatta e l’espulsione del bossolo della cartuccia sparata.
La Trasformazione a tiro celere del fucile Vetterli M.1870
Il primo modello, presentato nel 1886 e documentato nella Rivista di Artiglieria e Genio del 1887, si basa sul fucile standard della fanteria italiana umbertina, il Vetterli Mod. 1870. Il principio di funzionamento dell’arma, descritto in precedenza, consentiva al fante una rapidità di fuoco notevole per l’epoca, poteva sparare circa 24 colpi al minuto. Il fucile è privo di serbatoio, perciò ogni qual volta si sparasse, la nuova cartuccia è introdotta a mano dal soldato e la chiusura della culatta è prodotta dal respingente, fatto scattare premendo una leggera molla di scatto. Per favorire la celerità di tiro Freddi decise di montare un gancio a molla sul lato destro dell’arma nel quale si potesse fissare una cartucciera da 12 colpi.

Non si inventò nulla di nuovo qui, questa soluzione era già nota ai più in quegli anni. L’utilizzo ideale dell’arma è così descritto dall’ufficiale: “Il soldato per fare il tiro celere aggancia una cartucciera carica alla cassa, prende la posizione di punt e continua il fuoco in questa posizione senza muovere l’arma dalla spalla finché abbia esaurito le 12 cartucce. Appena vuotata la cartucciera, prende la posizione di pronti, la sostituisce con l’altra carica, e continua il fuoco come prima, togliendo però ad ogni colpo l’arma dalla spalla per non stancarsi soverchiamente. Così si possono sparare comodamente tutti i 24 colpi in un sol minuto compreso il tempo occorrente per mettere e cambiare la cartucciera. I primi 12 colpi però si eseguiscono in soli 20 secondi”
Dal punto di vista economico egli decise di conservare intatte il maggior numero delle parti del Vetterli di base, stimando una spesa di conversione pari a 5,35 L.

La Carabina coloniale
Freddi presentò un secondo modello nel 1888, si tratta di una carabina destinata ad armare le truppe d’Africa. Secondo il pensiero dell’allora capitano, in un terreno ostile quale le colonie, conveniva l’utilizzo di una carabina rispetto ad un fucile convenzionale, dato che risulterebbe di più facile utilizzo in quanto più leggera e maneggevole:“[…]è naturale che in paesi dove il clima e la natura selvaggia del terreno contribuiscono a spossare le forze del soldato europeo, e dove la vittoria dipende quasi sempre dalla rapidità dei movimenti, è naturale, dico, che al fucile si preferisca la carabina come arma più leggera e più corta e per conseguenza di più facile trasporto e maneggio.”
Infine sottolinea il fatto che la gittata di una carabina è l’ideale per un qualsiasi teatro coloniale, supportando la propria tesi basandosi sui fatti d’arme di Dogali: “Da quanto risulta dalle informazioni dei pochi superstiti di Dogali, il fuoco della nostra colonna fu intrapreso alla distanza di 700 m circa e fu più volte necessario sospenderlo per aver agio di meglio vedere il bersaglio e di poter meglio regolare il tiro perché veniva riconosciuto di pochissima efficacia”

Proprio come il progetto precedente, egli partì da una base Vetterli, modificando una carabina Mod. 1870, apportando le medesime modifiche ma adottando al contempo una cartuccia da 8 mm, ben diversa dall’usuale 10,35 × 47 mm R. L’ufficiale sottopose l’arma a numerosi test e pubblicò i dati raccolti nel suo articolo illustrativo pubblicato sempre nella Rivista di Artiglieria e Genio. Curioso notare il fatto che il rateo di fuoco risulta essere lievemente minore rispetto al fucile presentato l’anno prima, si parla infatti di circa 17-19 colpi al minuto: “Da varie esperienze di tiro fatte colla carabina descritta alla distanza di 150 m contro un bersaglio quadrato di 1,50 m di lato, puntando ad ogni colpo per determinare la rapidità di tiro che si può ottenere compatibilmente con l’efficacia, richiesta, si sono ricavati i risultati seguenti.”
| Posizione del puntatore | Media del N. di colpi sparati per minuto 1 | Per % dei punti colpiti nel bersaglio |
| in piedi | 17 | 66 |
| in ginocchio | 18 | 55 |
| a terra | 19 | 55 |
Nessuno dei due progetti, nonostante un certo interesse palesato dalla stampa e da alcuni ufficiali superiori, fu preso realmente in considerazione, probabilmente per i costi preventivati ritenuti troppo eccessivi.

Con serbatoio o senza?
Nonostante questo, Gaspare continuò a lavorare duramente nel tentativo di produrre un fucile che soddisfacesse a pieno il Regio Esercito. Singolare il fatto che i propri progetti seguirono l’incredibile evoluzione delle armi da fuoco. In questo periodo di transizione, caratterizzato dall’adozione della polvere senza fumo e del serbatoio, egli cercò di capitalizzare il momento proponendo il proprio sistema insieme questi ultimi ritrovati della tecnologia. Propose quindi nel 1891 quattro nuovi prototipi, i primi due a colpo singolo, sul quale è pressoché inutile dilungarsi dato che il funzionamento è pressoché identico ai modelli precedentemente descritti. Le uniche variazioni sostanziali consistono nel fatto che i fucili siano di nuova fabbricazione, non più adattamenti di vecchi modelli. Pesavano il primo 3,800 kg ed il secondo 4.1 kg.

Entrambi utilizzavano una nuova cartuccia, sempre ideata dal Freddi del calibro di 7,5 mm. L’ultima modifica sostanziale riguarda la cartucciera, sostituta da pacchetti di cartone al cui interno vi erano 8 proiettili: ”Esse (le cartuccie) vi sono sistemate con la pallottola in basso su due file parallele, separate tra loro da una retina di filo di ottone, intrecciata un poco al disotto dall’apertura del pacchetto, per impedire alle cartucce di rovesciarsi o di cadere. Un gradino disposto sul fondo del pacchetto produce un dislivello fra le due file di cartucce e ne agevola l’estrazione. Esternamente al pacchetto è cucita una maniglia di tela, che serve per tenerlo a posto. Il pacchetto è chiuso da un coperchio di cartone, tenuto fermo da una listarella di tela incollata esternamente, dalla quale sporge fuori una linguetta, che serve di presa per strappare il coperchio nel momento opportuno. […] Il soldato, nell’esecuzione del tiro. lo tiene sulla destra del fucile con la maniglia contro il fusto della cassa, e con le quattro dita della mano sinistra infilate nella maniglia. Egli con tal mezzo ha il vantaggio di trovare le sue cartucce pronte sotto all’apertura di caricamento, senza bisogno di prenderle ad una ad una nella giberna.”
Queste due armi però non rappresentavano però un grosso passo avanti, soprattutto se si considera il fatto che la maggior parte dei paesi europei avevano già adottato fucili a caricamento multiplo (a ripetizione).

Le ultime due, seguendo questa scuola di pensiero, erano infatti delle armi a ripetizione dotate di un serbatoio interno. I meccanismi interni di funzionamento sono in sostanza sempre i medesimi dei due modelli precedenti a colpo singolo, si aggiungono solo i meccanismi che permettono di alimentare l’arma automaticamente utilizzando il serbatoio. Il primo è del calibro di 7,5 mm era dotato di un pacchetto caricatoio simmetrico contenente cinque cartucce, che si può introdurre nel serbatoio rivolto indifferentemente dalla parte superiore od inferiore, o di un caricatore a pacchetto. Il secondo invece è del calibro di 6,5 mm ed utilizza il caricatoio Vitali ed un pacchetto caricatoio proposto dal tenente colonnello cav. Bertoldo, l’uno e l’altro capaci di cinque cartucce.
Nessun progetto si rivelò all’altezza delle aspettative. Per l’ultima volta Gaspare si mise al lavoro e nel 1900 presentò un fucile automatico. Anche questo però non vide mai il successo che il suo progettista sperava.
Il progettista
Gaspare Freddi nacque nel 1844. Ufficiale di artiglieria del Regio Esercito, divenne noto per i suoi scritti e le sue ricerche nel campo delle armi da fuoco. E’ da attribuirgli la realizzazione del primo fucile automatico mai ideato in Italia (1886). Negli anni sviluppò una serie di prototipi che purtroppo non per il suo progettista non furono mai adottati dal R.E. Ritiratosi a vita privata, si dedicò all’imprenditoria. In questo campo cercò di produrre e vendere una lampadina a gas acetilene di sua invenzione. Qui nacquero i suoi guai giudiziari che si sommarono a quelli finanziari. Fu accusato infatti dalla ditta Benossaglia e Calzoni di Brescia, sua fornitrice di materie prime per le lampadine, di truffe continuate. Gaspare ebbe un discreto successo invece nella narrativa fantastica. Egli scrisse: Il pianeta Venere e i suoi abitanti (Società editrice La Milano, 1904), e il seguito Gli abitanti di Marte (a puntate su “Per Terra e per Mare”, 1905-1906). Morì a Sanremo il 19 dicembre 1923.
Bibliografia
- Morin, Marco. Dal Carcano al FAL, editoriale Olimpia, 1974, pag. 211-222.
- Nicola Pignato, Filippo Cappellano. Le Armi Della Fanteria Italiana (1919-1945).
- Proposta di una carabina a rinculo utilizzato per l’armamento delle truppe d’Africa Rivista di artiglieria e genio, anno 1888, pag. 289- 299.
- Roberto de Gennar. Armi Automatiche; Rivista di artiglieria e genio; Volume III, anno 1904
- Studio sopra un nuovo sistema di fucile a tiro celere e sulla applicazione al fucile mod. 1870. Rivista di artiglieria e genio, anno 1887. Pag. 248-262.
- Studi e proposte sulle armi da fuoco portatili. Rivista di artiglieria e genio. anno 1891, giugno, volume II, pag. 443- 472
Un pensiero su “il Fucile automatico Freddi”