La battaglia dei forti di Ta-Ku durante la ribellione dei Boxer del 1900

“Gli avvenimenti precipitano, e il pericolo per gli europei residenti nell’Impero Celeste aumenta d’ora in ora. La crisi, che nei primi momenti appariva di facile soluzione, se il governo imperiale era disposto a secondare l’azione delle truppe europee, ha preso delle proporzioni molto vaste, e oramai le potenze vedono affacciarsi il problema Celeste in tutta la sua grandezza.”

Illustrazione Italiana, n. 25, 24 giungo 1900

Contesto storico

A seguito dei primi grandi disordini avvenuti in Cina nel maggio del 1900, scaturiti da un crescente malcontento popolare causato da una grave carestia ed un progressivo odio verso lo straniero, un gran numero di navi straniere popolarono in quei mesi la foce del Pe-ho, all’epoca un fiume di primaria importanza. Quest’ultimo nasce nella Mongolia, entra nella pianura di Pechino, attraversa T’ien-tsin per poi sfociare a Taku. Ogni nave sbarcò un contingente di marinai, destinato a proteggere la propria legazione presente a Pechino, minacciata dalla crescente violenza degli insorti. Tra queste vi erano anche due incrociatori italiani, la R.N. Elba e la R.N. Calabria. Dalla prima fu formato il primo distaccamento italiano di 39 uomini, comandato dal tenente di vascello Federico Paolini e dal Sottotenente di vascello Angelo Olivieri, che si distinse proprio durante la difesa delle Legazioni straniere e della cattedrale del Pe-Tang a Pechino. In rada fu organizzato, in tempo record, un sistema fatto di piccoli bastimenti che rifornivano continuamente i distaccamenti alleati a terra, che prendevano in quei giorni la via di T’ien-tsin e di Pechino. Nei primi giorni di giugno, il continuo via vai di battelli, zattere e naviglio minore avveniva pacificamente, nonostante fosse sotto costante ed attenta osservazione da parte dei soldati imperiali della guarnigione dei forti e dalle loro bocche da fuoco.

I forti

Ben conoscendo l’importanza del corso d’acqua, i cinesi avevano già da lungo tempo fortificato la foce del fiume con una serie di fortificazioni. I forti in tutto erano cinque:

  • Forte Nord Ovest: il più a monte sulla riva sinistra. 4 cannoni da 120 mm Krupp; 2 da 5 pollici Vavasseur; 10 da 8 c/m Krupp. Altre artiglierie minori o antiquate, fra le quali 7 cannoni da 150 m/m Armstrong, ad avancarica.
  • Forte Nord: riunito al precedente da una via trincerata. Un cannone da 152 m/m; 2 da 120 m/m 7 da 6 pollici ed Altre artiglierie come sopra.
  • Forte Sud N. 1: presso a poco di fronte al forte Nord, dall’altra parte del fiume. 3 cannoni da 152 m/m; I da 150 mm; 2 da 120 m/m; 6 da 6 pollici ; 5 da 8 cm ed Artiglierie minori ecc
  • Forte Sud N. 2: a Sud del precedente. 2 cannoni da 24 c/m; 2 da 21 c/m; 2 da 150 mm; 4 da 6 pollici; 4 da 16 mm ed Artiglierie minori ecc.
  • Forte Sud N. 3: il più piccolo di tutti, interposto fra gli altri due forti del Sud; 4 cannoni da 6 pollici; 9 da 8 c/m ed Artiglierie minori ecc

Inoltre vi erano ancorate nelle acque del Pe-ho 4 cacciatorpedinieri cinesi (di fabbricazione germanica) e nella rada vi era l’incrociatore Hai Yung, comandato dall’ammiraglio Jeh (aveva sostituito l’incrociatore Hai Tien)

La situazione si complica

Le truppe imperiali si dimostrarono neutrali in prima battuta, disassociandosi dalle violenze dei Boxer. Ma ben presto, con l’aggravarsi della situazione nell’interno, essi cominciarono a dimostrarsi progressivamente sempre più ostili. Ben presto bande di soldati iniziarono a prendere di mira le stazioni ferroviarie lungo la via per Pechino. La linea era già stata interrotta in più punti, ma ora ad essere minacciata era la stazione di Tong-ku posta di poco più a monte di Ta-ku. Inoltre la guarnigione stava provvedendo a minare e ad ostruire la foce del fiume con uno sbarramento di torpedini. Queste, una volta affondate, avrebbero negato l’accesso al corso d’acqua a qualsiasi imbarcazione alleata, interrompendo così le comunicazioni fluviali con i distaccamenti di T’ien-tsin. Ciò era inaccettabile per i comandanti alleati e per ovviare il problema si pensò di occupare con la forza i forti. Un eventuale aggressione sarebbe stata interpretata come un vero e proprio atto di guerra, non si trattava più di aprire il fuoco contro delle bande armate di ribelli, ma di sparar contro delle truppe regolari e ciò avrebbe legittimato il governo cinese all’utilizzo di tali truppe, finora principalmente estranee ai combattimenti, per combattere le truppe straniere. Perciò un eventuale uso della forza avrebbe significato un sicuro peggioramento della precarie condizioni delle legazioni e della colonna Seymour.

I Capi delle Forze Navali presenti a Ta-Ku, a bordo dell’incrociatore Russo Rossiya dibatterono in merito al da farsi tra il 15 ed il 16 giungo. A presiedere le riunioni vi era il vice ammiraglio Yakov Hildebrandt, decano degli ufficiali in assenza del Seymour, essendo l’ufficiale più anziano. Data l’importanza delle decisioni da prendere, le riunioni furono decisamente lunghe ed accese, dato che le posizioni erano spesso divise su quale comportamento adottare. Ma il passare del tempo, inesorabile, giocava a favore dei boxer e di chi voleva morti i cristiani cinesi e qualsiasi straniero. Il 15 fu deciso di ordinare ad alcune cannoniere di stanza a Tong-ku di sorvegliare attentamente la stazione ferroviaria ed i materiali destinati ai distaccamenti. Nel frattempo fu deciso di inviare durante la notte 300 marinai giapponesi di guarnigione. Questi, nel caso fossero stati soggetto di offesa da parte delle truppe imperiali in arrivo, erano autorizzati a difendersi con la forza ed ad aprire il fuoco contro i forti. Gli imperiali, contro ogni aspettativa, invece di raggiungere definitivamente Tong-ku, si fermarono a Lu-tai, pronti a mettere a ferro e fuoco la vicina stazione intermedia di Ciulian-tceng. La distruzione completa della ferrovia e lo sbarramento del canale sarebbero stati dei colpi fatali agli sforzi della coalizione ed alle proprie truppe presenti sul territorio cinese. Perciò, di comune accordo, tutti gli ufficiali firmarono un Ultimatum diretto al comandante del forte. In realtà manca una firma, quella dell’ammiraglio americano Kempff, che si astenne da qualsiasi iniziativa senza l’approvazione del proprio governo. Ironia della sorte, la cannoniera Monacacy sarà una delle prime ad esser presa di mira dalle batteria cinesi. I termini consegnati al Generale Lo Yung-wang erano i seguenti:

“I Rappresentanti dell’autorità imperiale sembravano dapprima comprendere il loro dovere, e fecero qualche sforzo, almeno in apparenza, per ristabilire l’ordine. Ora però essi mostrano chiaramente le loro simpatie per i nemici degli stranieri, conducendo truppe verso le linee ferroviarie[1], ed affondando torpedini, all’entrata del Pei-ho. Questi fatti dimostrano che il Governo dimentica i suoi impegni solenni con gli stranieri, e siccome i Capi delle Forze alleate hanno l’obbligo di restare in costante comunicazione con i distaccamenti a terra, hanno deciso di occupare provvisoriamente, in modo pacifico, o con la forza, i Forti di Taku. Il limite di tempo per la loro resa alle forze alleate, è stabilito a 2 ore del mattino del 17. Quanto precede, sarà comunicato contemporaneamente al Vicerè a Tien-tsin, e al Comandante dei Forti.”

Firme: Yakov Hildebrandt, Bendemann Courrejolles, James Bruce, M. Nagamine, Giovanni Casella, Konovits.

Nel pomeriggio del 16 ebbe luogo una seconda riunione, mirata a preparare un piano d’attacco ai forti, nel caso in cui i cinesi avessero rifiutato l’ultimatum. Coordinare un insieme così eterogeneo di navi e di truppe non fu certo semplice. Per lo sbarco furono disposti un totale di circa 280 uomini, divisi in due linee, ognuna di queste era dotata di un drappello di minatori. Casella costituì un nuovo distaccamento, composto da 24 marinai provenienti dalle due navi italiane presenti in rada, posto sotto al comando del tenente di vascello Tanca. Nel frattempo la fibrillazione all’interno dei forti era alle stelle, le artiglierie pronte ed ogni uomo al suo posto. Ma nessuno al momento apriva il fuoco, probabilmente il generale cinese attendeva ordini superiori provenienti dal governo centrale. Le cannoniere e le cacciatorpediniere alleate, imbarcati i distaccamenti, presero presto posizione lungo in fiume. La tensione era palpabile, ormai tutti erano consci che la guarnigione non si sarebbe arresa senza combattere, anche se la cosa più odiosa in quelle ore fu la snervante attesa.

La battaglia

Fonte: Valli, Mario. Gli avvenimenti in Cina nel 1900 e l’azione della Regia Marina Italiana. Hoepli, 1905

Ad un ultimatum di solito si risponde prontamente a cannonate, ma in questo caso i cinesi aspettarono quasi lo scadere dei termini fissati dagli occidentali. All’una meno un quarto le batterie del forte di Nord Ovest aprirono il fuoco sulle cannoniere. La tedesca Iltis e la francese Lion prontamente, iniziarono a manovrare per colpire la fortificazione, manovra che fu rallentata da un grosso numero di problemi. In realtà si mossero in forte ritardo rispetto al piano originale, dato che raggiunsero la posizione designata solamente a battaglia iniziata e non prima, come era stato loro ordinato. Nel caos scaturito dal fragore della battaglia, gli artiglieri cinesi si dimostrarono abili nel tiro, anche se centrarono nei primi minuti l’unica imbarcazione neutrale di quella sera, la Monacacy, che fu costretta a dirigersi ancora più a nord, verso Tong-Ku. Con un colpo di mano, alcuni picchetti provenienti dai cacciatorpedinieri inglesi Fame e Whiting abbordarono le quattro navi da guerra cinesi, che erano ancorate a Ta-ku, e senza colpo ferire le catturarono, portandole rapidamente a Tong-ku. Nel frattempo, sotto il costante fuoco nemico, le cannoniere presero posizione ed all’una e mezza circa incominciarono a rispondere con i loro piccoli calibri ai bei più potenti pezzi dei forti. Il tiro degli artiglieri cinesi incominciò a mietere le prime vittime. Alcuni colpi centrarono in pieno la cannoniera russa Giliak, causando tre morti e nove feriti, tra cui un ufficiale. Le restanti cannoniere subirono anch’esse i proiettili delle batterie, riportando danni di una certa entità. Nella rada si osserva con apprensione la battaglia, incerti sul suo esito. Destava anche una certa preoccupazione l’incrociatore cinese Hai-Yung, posto a valle delle navi alleate. Hiltbrandt richiese, tramite un suo ufficiale, un colloquio con l’ammiraglio cinese sul Rossia. Questi dette la sua approvazione alle richieste del comandante russo (si dimostrò fortemente rammaricato dallo scoppio delle ostilità). Fu deciso infatti di far ancorare la nave cinese tra la flotta alleata, spegnere i fuochi della nave, e di sequestrare gli otturatori delle artiglierie cinesi. Tornando nel vivo dell’azione, il fuoco col passare delle ore divenne sempre più intenso e preciso da parte delle navi alleate, mentre quello proveniente dai forti si infievolì notevolmente, a causa dei gravi danni subiti. Fu deciso quindi di attaccare frontalmente il forte Nord Ovest. Le truppe sbarcate, dopo alcuni movimenti dettati dal caos, riuscirono a riorganizzarsi ed a sferrare un attacco decisivo che mise in fuga i difensori, che lasciarono la fortificazione ed i suoi pezzi in mano nemiche. I russi e gli austriaci attaccorono frontalmente, mentre gli inglesi, italiani e giapponesi attacorono sui fianchi. Sotto il fuoco di fucileria nemico, I giapponesi avanzorono a grandi balzi verso i parapetti della fortezza, assaltandoli con la baionetta. Nel vivo dell’azione perse la vita il capitano Hattori, loro comandante sul campo. Mentre le truppe ultimavano l’occupazione del forte, le cannoniere dissero il fuoco dei loro pezzi sul forte Nord e su quello Sud N.1. Un colpo fortuito fece scoppiare la Santa Barbara di quest’ultimo, sollevando una densa nube di fumo e detriti. Lo scoppio annichilì completamente lo spirito dei difensori, consci ormai della disfatta. Nel frattempo, i reparti sbarcati si mossero con rapidità verso il forte Nord, attraverso un camminamento trincerato, assaltandolo nuovamente alla baionetta, mettendo in fuga i soldati imperiali. Gli italiani, coadiuvati dai colleghi inglesi, sfondarono un parapetto ove si trovavano alcuni vecchi cannoni, mentre il restante sfondò dalla porta principale. Una volta preso possesso dei pezzi, i tedeschi cominciarono a bersagliare il forte Sud ma presto i cannoni catturati smisero di vomitare piombo verso ciò che un tempo fu una delle più moderne fortificazioni dell’Impero cinese. Davanti agli occhi dei marinai occidentali vi era uno spettacolo assai desolante. L’esplosione di cui abbiamo parlato precedentemente fece scoppiare un gravissimo incendio che si era rapidamente propagato ai depositi secondari se non fino alle riservette dei pezzi. Non ci fu bisogno di prendere con un assalto i forti Sud, in quanto li si ritrovò deserti, se non per i numerosi feriti e cadaveri che lo popolavano, sepolti tra le macerie. Le ostilità quindi terminarono alle 6:30 del 17 giugno. Le perdite cinesi furono ingenti. Di circa 2000 difensori, 800 persero la propria vita. Dall’altra parte, gli alleati ebbero perdite assai lievi:

  • Giapponesi: 1 ufficiale morto e 3 soldati morti, 50 feriti;
  • Inglesi: 1 marinaio morto. 1 ufficiale e 12 marinai feriti;
  • Russi: 2 soldati morti. 3 soldati feriti.

Mentre i distaccamenti stranieri, per celebrare la vittoria, innalzarono le proprie bandiere nazionali nei forti, gli italiani si ritrovarono ad innalzare uno “stendardo” raccogliticcio, fatto da stracci provenienti dagli stendardi cinesi, dato che le bandiere erano già state date ai distaccamenti precedenti. Il tenente di vascello Tanca, comandante del drappello, incaricò di tale compito il sottocapo cannoniere Rapà, i cannonieri scelti Annibaldi e Fiorino, il torpediniere Valotta ed il timoniere De Boni.

I marinai che presero parte alla presa dei forti posano per una foto (Il fotografo è il tenente Tanca, loro comandante)

Le conseguenze

Il distaccamento italiano, comandato dal Tanca, coadiuvò con successo le truppe alleate durante l’azione. Nonostante questo Hildebrandt invitò gli italiani a tornare a bordo delle proprie navi. Ciò avrebbe simbolicamente danneggiato il prestigio italiano perciò Tanca si oppose a tale scelta. Gli fu offerta quindi la protezione dell’arsenale di Ta-ku, indifendibile con 24 uomini. Perciò alla fine fu disposto che i marinai italici si sarebbero disposti con gli inglesi nel forte di Nord Ovest, pronti a respingere il contrattacco cinese, che però non si realizzò mai. Bensì si notò un grosso incendio e varie esplosioni a Tientsin, il che creò non poche preoccupazione tra gli alleati, incerti sulle condizioni in qui versava il quartiere europeo della città, stretto ormai sotto assedio anch’esso dai Boxer e d’ora in avanti anche dalle truppe imperiali. In quei giorni fu infatti ferito a morte il tenente Carlotto, comandante del distaccamento italiano presente in loco. L’attacco ai forti di Ta-Ku, come abbiamo detto in precedenza, portò l’esercito imperiale a partecipare attivamente al conflitto. Questa argomentazione fu cardine delle critiche che fioccarono sugli organi di stampa, specialmente in quella di stampo socialista o cattolica, in patria ed all’estero. L’ultimatum fu considerato, giustamente, come un atto di guerra e l’intervento dell’esercito imperiale fu considerato fortemente deleterio verso le legazione e gli uomini della spedizione Seymour. Nonostante le giuste e pesanti critiche, l’opinione pubblica europea ed italiana si compattò subito contro l’elemento cinese, fagocitata dagli orrori commessi dai Boxer e dall’orgoglio, come testimoniano le parole scritte sull’Illustrazione Italiana del 1 luglio 1900: “Abbiamo la China adesso! Che tragedia compie laggiù! Il vecchio impero s’è tutto sol levato contro gli stranieri! I boxer sono i nazionalisti di laggiù, ed hanno con sé l’esercito e il governo. Per l’Europa intera si tratta di vita o di morte; si tratta di salvare quanti europei vivono colà come diplomatici, come missionari, come negozianti, come soldati e marinai. Sono pugni d’ uomini circondati da masse di popolo armato. Dinanzi ad una catastrofe simile, i rivali divengono per forza alleati. I pacifici come noi, sono costretti ad esser bellicosi. […]L’Europa avrà avuto torto invadere l’Africa e l’Asia; ma quando costoro insorgono e attaccano, il patriottismo europeo impone la difesa per il presente e l’occupazione per l’avvenire. Avranno ragione dal loro punto di vista i patrioti boeri o i patrioti boxer; ma noi non possiamo essere che patrioti europei”.

Note

1 – Le linee di Ta-ku-Tien-tsin e di Tien-tsin-Pekino appartengono al governo imperiale, ma sono state costrutte a forfait da compagnie inglesi e tedesche, le quali hanno indegnamente truffato la Cina, fornendole un materiale di scarto, sicché le vetture sono già tutte sgangherate, e le rotaie, mal trattenute dalle traverse, cagionano spesso dei deragliamenti.

Documenti

A BORD DU CROISEUR IMPERIAL Russe, “ Rossia “
le 16 Juin 1900 a 11 du matin.

Protocole de la reunion tenue sous la presidence de son excellence, Monsieur le Vice Amiral Hiltebrand, le plus ancie des officiers present sur rade.

Les puissance alliees, des le debut des troubles, ont mis sans opposition des detache ments a terre pour proteger leurs concitoyens et le corps diplomatique contre les rebelles connus sous le nom “boxers.”

Tout d’abord les representants de l’Autorite Imperial ont paru comprendre leu devoirs, et fait des efforts apparents pur le retablissementde l’ordre: Maismaintenant ils montrent clairement leur sympathies pur les ennemis des Etrangers en amenant des troupes vers les lignes de chemin de fer et garnissant torpilles l’entree du “Pei Ho” Ces actes prouvent que le gouvernment oublie ses angagements solonnels vis-a-vis des et trangers, et comme les Chefs des Forces alliees ont l’obligation de rester en communication constante avec les detachements a terre, ils ont decide d’occuper provisoirement, de gre ou de force, les forts de Taku: le dernier delaipour leur remise au forces alliees est deux heures du matin le dix -sept ( 2 H. A. M.)

Ceci sera communique a la fois au Vie Roi a Tientsin at au Commandant des forts.


J. HUTEBRAND.
BENDEMAXX.
COUREJOLLES.
JAMES BRUCE.
M. NAGAMINE.
G. CASSELLA,
KONOVITS

TAKU, A BORD DU CROISEUR IMPERIAL Russd “ Rossia,”
le 17 Juin, 1900.


Protocole de la reunion tenue sous la presidence de son excellence monsieur le Vice Admiral Hiltebrandt, le plus ancien des officiers presents sur rade.

Il a d’abord été donne connaisance a la reunion des nouvelles encore tres soum maires parvenues sur l’engagement de la nuit.
Le Protocole dressé dans la séance de la veille a été remis au General Chinois a 9 heures due soir par Mr le Lieutenant de Vaisseau Bakhmetieff Commandant le Tor pilleur Russe 22 07 Le General a repondu qu’il était obligé de prendre les instructions de ses chefs et a declaré que quelque fût la reponse, il déclinait tout responsabilité personelle sur les conséquences. A minuit 50 les forts ouvrirent le feu sur les connonieres, qui reponderent immedi atement, en meme temps que les Contre Torpilleurs Anglais saisissaient 4 destroyers chinois. L’action dura avec une grande vivacité jusqu’a 6 h. 50 m. , a ce moment les forts furent occupés par les detachements allies mis a terre. Les pertes connues a l’heure de la reunion sont:

“Iltis” – Officier et 6 hommes tués; le commandant et 8 hommes blessés. Pas mal d’avaries de coque.

“Anglais” – 2 officiers et 4 hommes touchés.

“Lion” – 3 blessés, dont 1 serieusement; d’assez avaries a la coque.

Russe – On savait seulement que le “ Giliak ” et le “ Komeetz ” avaient récu pas mal de projectiles.

On disait également que les Japonais qui comptainent 300 hommes dans le detache ment avaient subi de fortes pertes. Ensuite le réunion examina les mesures à prendre au sujet du Croiseur Chinois present sur rade. Depuis le matin l’Admiral Hiltebrandt avait envoyé un officier a l’admiral por lui dire que les forces alliées, ayant é té attaquées par les forts, avaient du reporter a leur feu, que l’action s’était terminée par l’occupation de ces forts qu’on le priait de renoncer a son intention de quitter la rade, parceqúon désirait encore s’entretenir avec lui; l’admiral consentit. On decida alors de lui demander devenir a bord de la Rossia pour y prendre part a la conference; l’admiral accepta et fut introduti dans la reunion.

Le Vice-Admiral Allemand, qui avait eté chargé de porter la parole en Anglais, lui exposa la situation telle qu’elle resultait de l’agression des Chinois et de l’ensemble des faits dederniers jours. Il lui dit que les chefs de division presentavaientcru devoir lui demander de changer de mouillage, de venir, se placer a porte des admiraux, puis d’eteindre ses feux; ces mesures etaient conseillés par l’avantage qu’il y aurait pour les relations internationales à pouvoir disposer de lui comme d’intermediaire. L’Admiral Yeh ayant accepté sans discussion les propositions, qui lui étaient faites, il retourna a son bord avec un officer Russe chargé de lui indiquer le mouillage, et la séance fût levee.

L’Admiral Americain qui attend toujours des instructions de son Gouvernement et qui avait assisté au commencement de la réunion la quité e avant la fin.

J. HUTEBRAND.
BENDEMAXX.
COUREJOLLES.
JAMES BRUCE.
M. NAGAMINE.
G. CASSELLA,
KONOVITS

Fonti:

  • Bernard, MichalI. I grandi enigmi della Belle Epoque, Edizioni di Cremille, 1969.
  • Elihu Root Collection of United States Documents: Ser. A.-F.]. Stati Uniti, U.S. Government Printing Office, 1901.
  • Valli, Mario. Gli avvenimenti in Cina nel 1900 e l’azione della Regia Marina Italiana. Hoepli, 1905

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