Ormai mi conoscete, ho una certa passione per i prototipi, qualunque sia la loro natura ed origine. Quest’oggi parleremo dei prototipi che costruì la Pavesi nel campo dei fucili semiautomatici.
Contesto storico
Come sempre, partiamo diamo un contesto al tutto. Come ben sappiamo, il Regio Esercito italiano non adottò mai ufficialmente un fucile semiautomatico, anche se le proposte giunte all’arma arrivarono già nel 1895. Infatti Amerigo Cei Rigotti, capitano del Regio Esercito, iniziò lo sviluppo di un’arma rivoluzionaria nel 1890, per approntare la versione definitiva nel 1900. L’arma, omonima del suo inventore, era complessa ed avveniristica e non incontrò l’interesse del Regio Esercito. Dopo questo modello, lo sviluppo di fucili semiautomatici subì un brusco alt. Solamente nella prima metà degli anni trenta lo Stato Maggiore del Regio Esercito richiese la fornitura di un fucile semiautomatico che sostituisse i vetusti Carcano Mod. 91.
Risposero prontamente 3 aziende : L’Armaguerra, la Scotti e la Breda. Esse svilupparono rispettivamente: l’Armaguerra Mod. 39, lo Scotti Mod. X e Breda Mod. 1935 PG. Il modello della Breda risultò troppo complesso per una produzione in serie. Il modello della Scotti, Venne lungamente testato dal Regio Esercito, anche in operazioni durante la Guerra d’Etiopia, risultò efficace, ottimo dal punto di vista logistico, dato che si usava la stessa lastrina da 6 colpi del Mod. 91, ma era poco affidabile in presenza di residui di combustione. Fu scelto alla fine il modello dell’Armaguerra, considerato più affidabile, anche se più complesso. Camerava la cartuccia 7,35 x 51 mm Carcano, caratteristica che ne limitò la produzione a soli 2000 esemplari.
I fucili della Pavesi
Ma in tutto questo, sono sicuro che vi starete chiedendo perché non ho ancora parlato del modello della Pavesi. Innanzitutto vorrei chiarire che le fonti sono scarse, provenienti principalmente dal libro “italian small arms of the first and second world war” di Ralph Riccio e da un video di Forgotten Weapons. Comunque anche la Pavesi si interessò ai fucili semiautomatici, progettandone uno nel 1938. Si trattava di un modello operato a gas. Il funzionamento dell’arma era simile a quello del M16 statunitense. il gas veniva convogliato attraverso un tubo, posto sopra la canna direttamente alla faccia del otturatore. Inoltre vi erano otto buchi per lato dedicati alla ventilazione della canna. Camera la cartuccia 8 × 59 mm RB Breda, caratteristica che lo rendeva alquanto potente, alla pari del M1 Garand. Venne prodotto in un numero limitato di esemplari presso le fabbiche della Fabbrica Nazionale Armi di Brescia (F.N.A) di Brescia o dalla Metallurgica Bresciana Tempini. Il modello fu rifiutato dalla commistione esaminatrice del Regio Esercito.

La Pavesi non si fermò qui nello sviluppo di fucili semiautomatici. Durante la campagna di Russia, le nostre truppe entrarono in possesso di certo numero di materiale bellico sovietico, tra cui i fucili semiautomatici SVT-38 ed SVT-40.

Probabilmente alcuni di questi fucili furono inviati in patria per delle valutazioni, e la Pavesi decise di crearne una copia pressoché identica con l’intento di presentarla al Regio Esercito. Il modello italiano estaticamente ricorda un SVT-40 anche se funziona in modo diverso. Il SVT-40, come il SVT-38 funzionava secondo il principio della sottrazione di gas con pistone a corsa corta. Invece. Il fucile della pavesi funzionava secondo il principio del corto rinculo. Nel Fucile semi automatico a corto rinculo la canna e l’otturatore rinculano assieme e si separano. La canna si arresta e l’otturatore continua invece il rinculo espellendo il bossolo comprimendo la molla di recupero e armando il cane. Nel riavanzare l’otturatore spinge una nuova cartuccia in canna

Fonti:
- Maricianò Emanule. Morin, Marco. Dal Carcano al Fal, Editoriale Olimpia, 1974
- Riccio, Ralph. Italian Small Arms of the First and Second World Wars. Stati Uniti, Schiffer Publishing Limited, 2014.